La Kunsthalle di Berna compie cento anni. In occasione di questa ricorrenza ha organizzato un’esposizione dedicata al suo più celebre direttore: Harald Szeemann. Una circostanza unica per vedere i documenti del suo archivio e ripercorrerne le tappe della carriera.
Ricordiamo che nel 2011 il Getty Research Institute (GRI) di Los Angeles ha acquisito l’immenso materiale che Szeemann aveva accumulato e che si trovava, in un disordine/ordinato, nella Fabbrica Rosa di Tegna dove lavorava. Qualcosa come 22’000 dossier di artisti, 50’000 fotografie e 25’000 volumi. Il GRI cataloga tutta la documentazione e la mette a disposizione dei ricercatori. Poi è nata l’idea di creare una mostra con una piccolissima parte del materiale che ripercorresse le tappe del suo pensiero e della sua vita. Nel febbraio di quest’anno nelle sale del GRI sono stati presentati Harald Szeemann – Museum of Obsessions e Grandfather: A Pioneer Like Us. L’esposizione giunge ora a Berna suddivisa in due sedi: Harald Szeemann – Museum der Obsessionen alla Kunsthalle e Grossvater: Ein Pionier wie wir nel suo appartamento in Gerechtigkeitsgasse. Sarà poi ripresentata alla Kunsthalle di Düsseldorf, al Castello di Rivoli a Torino e, infine, allo Swiss Institute di New York.
Szeemann (1933-2005) è noto come uno dei più importanti curatori e innovatori nel settore dell’arte. Il suo pensiero e la sua metodologia sono oramai sulla bocca di tutti e chiunque voglia realizzare qualcosa lo cita come modello. Ci si dimentica dello scetticismo e delle proteste contro di lui, soprattutto per la sua mostra più citata e osannata: When Attitudes Become Form del 1969. In quell’occasione per protesta contro alcune opere – quelle di Michael Heizer, che aveva distrutto il marciapiede davanti alla Kunsthalle e di Lawrence Weiner che aveva raschiato l’intonaco di una parete – i bernesi avevano portato una tonnellata di concime davanti al museo e i politici iniziarono «a dire che bisognava mandare via il direttore».
Alcuni curatori possono vantarsi di essere i suoi eredi. Fra questi Hans Ulrich Obrist, Maria Lind, Nicolas Bourriaud e Jérôme Sans, Vasiv Kortun, Maria Hlavajova, Jens Hoffmann. Ma in cosa consiste l’innovazione curatoriale di Szeemann? Citiamo, dal libro di Ambra Stazzone a lui dedicato, gli aspetti principali: la storia degli stili sostituita dalla storia delle ossessioni con artisti sia insider che outsider; il museo non come luogo di conservazione ma come laboratorio; la mostra come mezzo di espressione autonomo, intesa come evento e non come semplice presentazione delle opere; infine una condizione di comunicazione visiva che suggerisca un atteggiamento attivo da parte del visitatore.
Szeemann viene chiamato a dirigere la Kunsthalle nel 1961 all’età di 28 anni. Vi rimarrà per 8 anni e mezzo. Trasforma questo piccolo museo in una vetrina d’arte internazionale con 50 esposizioni che spaziano dall’art brut a quella cinetica, dal Surrealismo a Kazimir Malevič, da Marcel Duchamp a Robert Rauschenberg. Collabora con la Kunsthalle di Berna, il Moderna Museet di Stoccolma, allora diretto da Pontus Hulten, e soprattutto con lo Stedelijk Museum di Amsterdam il quale lo aiuta per i trasporti dei lavori dagli Stati Uniti ad Amsterdam, che per lo Stedelijk erano gratis. Nel 1961 propone Puppen – Marionetten – Schattenspiele una mostra sull’arte asiatica e parallelamente su quella sperimentale; Kunst aus Tibet l’anno successivo e Weiss auf Weiss nel 1966 con trecento lavori tutti di colore bianco. Poi nel 1968 con 12 Environments Szeemann invita Christo a impacchettare la Kunsthalle che diventa così un’opera d’arte. Oggi nella parete di fronte all’entrata sono esposti i manifesti delle varie mostre.
Infine la svolta con When Attitudes Become Form (Quando le attitudini diventano forma). Ne abbiamo già scritto in occasione della sua ricostruzione curata da Germano Celant alla Fondazione Prada di Venezia nel 2013 («Azione», 22 luglio 2013). Un’esposizione scandalosa, tentacolare, incredibile che mette in scena i giovani artisti delle nuove tendenze americane ed europee.
La mostra odierna propone i disegni preparatori del manifesto, il catalogo, alcune lettere e immagini delle opere. Dopo le aspre polemiche Szeemann decide di dare le dimissioni e diventa di fatto un conservatore indipendente. Fonda la sua «Agentur für geistige Gastarbeit». Questa «Agenzia per il lavoro spirituale all’estero» nasce dopo il ’68 e il movimento svizzero contro gli stranieri. Szeemann è figlio di emigrati ungheresi e nel 1974 dedica una mostra al nonno Étienne, Grossvater: Ein Pionier wie wir (Nonno: un pioniere come noi). Nella sua casa con i suoi oggetti, i suoi strumenti da parrucchiere, le immagini che collezionava.
Seguono progetti come quello dedicato all’Happening & Fluxus del 1970, con lavori di catalogazione storica, performance e manifesti. In questo caso è l’opera di Wolf Vostell, con una mucca incinta, che provoca proteste e l’intervento della polizia. In una bacheca possiamo leggere la lettera di reazione da parte di Szeemann e degli altri artisti contro la censura, poi disegni e fotografie.
Seguono Documenta 5 a Kassel nel 1972 con più di 200 artisti che coprono una serie impressionante di pratiche estetiche, dal video alla performance, dalle utopie architettoniche all’art brut, con accanto le critiche di Daniel Buren, riportate in catalogo, che scrive: «Il soggetto di un’esposizione tende gradualmente a non essere più il soggetto di un’esposizione di opere d’arte, ma l’esposizione dell’esposizione come opera d’arte».
Documentate nelle sale sottostanti la Kunsthalle le sue visioni e le utopie che tanto amava: dalla patafisica all’anarchismo, all’interesse per i malati mentali. Fino a Monte Verità con l’esposizione del 1978 e Der Hang zum Gesamtkunstwerk – Europäische Utopien seit 1800 (L’aspirazione all’opera d’arte totale – Utopie europee dal 1800). L’arte totale, insomma – incarnata da Richard Wagner e Joseph Beuys – con opere di John Cage, Vasilij Kandinskij accanto a quelle di Armand Schulthess e di Ferdinand Cheval con il suo Palazzo ideale, del quale lo stesso Szeemann fa costruire la maquette: un misto fra occidente e oriente.
Manca la documentazione relativa alle direzioni delle Biennali d’arte di Venezia del 1999 e del 2001.
Szeemann sapeva come «governare il caos» e sapeva anche come gestire la vita e mostrarla agli altri, anche se a volte non è stato valorizzato. Soprattutto in Ticino dove abitava e dove, probabilmente, si sentiva un po’ straniero nonostante il periodo di insegnamento all’Università di Mendrisio negli ultimi anni.
Ricordiamo, però, la sua adesione al manifesto degli «Artisti per la pace», gruppo nato in Ticino nel 2002 in opposizione alla Guerra in Iraq, e soprattutto il suo scritto redatto per l’occasione che termina così: «Allora Bush dovrebbe essere all’Aja accanto a Slobo… e così via… Sharon, Saddam, Guantanamo, dov’è la differenza?».
Una mostra, questa di Berna, documentaria, certo non facile, e destinata probabilmente a un pubblico curioso e già informato, ma da vedere.