Tobia Bezzola da gennaio 2018 è il nuovo direttore del Museo d’arte della Svizzera italiana. Prima di lui, Marco Franciolli ha saputo predisporre le condizioni perché finalmente la città di Lugano e, con essa, l’intero Cantone avessero un museo degno della scena nazionale ed internazionale. Al suo successore spetta un incarico arduo, ma di indubbio interesse, considerato che si tratta di determinare la natura e i futuri sviluppi di questa giovane realtà.
Bezzola ha operato a lungo come curatore di arte contemporanea: si è formato con Harald Szeemann, di cui fu assistente, per lavorare poi presso il Kunsthaus di Zurigo dal 1995 al 2012. Nella regione della Ruhr, al museo Folkwang di Essen, matura la sua prima esperienza come direttore dove ha saputo gestire l’istituzione puntando non solo su mostre temporanee, ma anzi accentuando il valore fondante della collezione permanente.
Ha volentieri acconsentito a un’intervista per raccontare ai lettori di «Azione» le sue prime impressioni su ciò che lo ha accolto, il suo bagaglio di esperienze professionali e i progetti futuri che saranno proposti alla città e al pubblico.
Direttore, quali sono state le sue impressioni arrivando al MASI e le prospettive per l’immediato futuro?
Quando sono arrivato sapevo già che per i primi tempi ci sarebbe stato molto da fare. Il nostro museo è giovanissimo e non è ancora pienamente in funzione. La sede di Palazzo Reali (già Museo Cantonale, ndr) è temporaneamente chiusa. A maggio prenderà il via un progetto di restauro, che durerà all’incirca un anno. La riapertura sarà nell’estate del 2019 e solo allora avremo il museo completo, comprendente le sale presso il LAC, sui tre piani, e Palazzo Reali. Il processo di transizione ci occupa moltissimo: è un impegno notevole, soprattutto dal punto di vista logistico. Al contempo continueremo a lavorare nelle sale del LAC. Ci sono mostre in corso e prossimamente aprirà la mostra di Balthasar Burkhard, un importante fotografo svizzero contemporaneo, mancato pochi anni fa, attivo fra gli anni Sessanta e gli anni Novanta. Invece, in autunno, avremo una mostra su René Magritte.
Si è parlato delle due sedi del MASI. Dobbiamo immaginarci una destinazione, un’anima diversa per esse oppure saranno due spazi complementari, ma con un’unica finalità?
Proveremo ad approfittare della flessibilità che possono offrire questi due spazi. È evidente che gli spazi al LAC hanno una presenza importante, necessaria per le grandi mostre. Le mostre importanti si terranno lì. Questo è chiaro. Ma d’altra parte non credo che il concetto possa essere quello di avere le esposizioni temporanee solo in quella sede e le collezioni a Palazzo Reali. In questo secondo spazio, quindi, avremo ugualmente delle mostre, forse di formati più contenuti, soprattutto con fotografia e arte contemporanea. Ma, viceversa, anche al LAC ci saranno presentazioni di opere della collezione, così che il pubblico che viene da fuori capisca che non si tratta solo di uno spazio espositivo per mostre temporanee, ma di un museo che custodisce una raccolta di opere d’arte. Abbiamo delle collezioni importanti, sia comunali che cantonali, oltre a quella giovanissima del MASI. Il museo è una struttura più ampia rispetto a un semplice luogo per eventi: pubblica documenti, fa ricerca e mediazione culturale, oltre a molto altro ancora, come restauro e conservazione. Le grandi mostre, come sempre, sono importanti per fare conoscere l’istituzione, per raggiungere il grande pubblico, ma allo stesso tempo bisogna continuare a rafforzare il nostro lavoro museale di base.
Le collezioni del MASI sono raccolte di dimensioni molto più ridotte rispetto a quelle con cui ha avuto a che fare in precedenza.
Bisogna considerarle nel contesto svizzero: in questo senso sono importanti e particolari. Rappresentano la tradizione regionale luganese, molto diversa da quella della Svizzera tedesca e romanda. Anche questo va mostrato e spiegato a chi viene da fuori, per valorizzare la storia culturale e artistica della regione.
Non crede, però, che il primo passo sia fare appassionare la comunità locale e la cittadinanza a queste collezioni e al museo stesso?
Certo, questo è vero. E allo stesso modo è necessario continuare a incoraggiare la produzione di arte: anche questo è un nostro compito. Non possiamo dedicarci unicamente a nomi internazionali. La nostra visione comprende anche il rafforzamento della scena locale.
Può illustrarci le linee guida che caratterizzeranno la vostra futura programmazione?
Sarà necessario avere regolarmente una mostra di forte richiamo in termini di pubblico. Questo avverrà all’incirca una volta all’anno. Ma ci saranno altre mostre e, anche se di minor richiamo, esse non saranno di minore importanza. Si possono realizzare esposizioni importanti sul piano internazionale, che però non attirano un pubblico numeroso. Possiamo vedere la programmazione espositiva come una serie di cerchi concentrici: si parte dal livello locale e regionale, si va a quello nazionale per poi arrivare al livello internazionale. La programmazione nel corso dell’anno attraversa tutti questi ambiti.
Un aspetto interessante sarà anche quello di dedicare dei momenti all’arte del passato. In questo senso il Ticino può contare su un forte vantaggio, che è il rapporto con la tradizione italiana. Questo non esiste altrove in Svizzera. Ma in generale l’accento sarà senza dubbio posto sul Novecento e sul periodo contemporaneo.
Per quanto riguarda l’arte svizzera, credo che sia importante inserire maggiormente il Ticino nel contesto nazionale e l’anno prossimo avremo due mostre dedicate proprio a questo obiettivo. Una sarà in collaborazione con il Museo nazionale di Zurigo. L’esposizione si svolgerà in contemporanea a Lugano e al Landesmuseum e sarà dedicata alla collezione della Gottfried Keller Stiftung, la grande raccolta nazionale gestita dall’Ufficio federale della cultura che ormai da 150 anni acquisisce opere d’arte, affidandole poi in deposito ai musei svizzeri. È dal 1966 che non viene organizzata una grande retrospettiva per presentare questa collezione ed essa rappresenterà una storia dell’arte svizzera in nuce. Cominceremo con Füssli, proseguendo con l’Ottocento: Zünd, Koller, Calame, Böcklin, Hodler, Segantini e altri. Arriveremo fino al presente, con capolavori che attualmente sono in deposito a Berna, Ginevra, Basilea, Zurigo. Poi, in collaborazione con il Kunsthaus di Aarau, realizzeremo una grande retrospettiva sul Surrealismo svizzero. Spiegheremo come alcuni artisti svizzeri ebbero un ruolo importante nel contesto di questo movimento. In Ticino si conosce la vicenda di Serge Brignoni, ma ci furono in realtà almeno una decina di autori che, dalla Svizzera, presero parte alle vicende surrealiste. Anche questo è un bellissimo progetto e credo servirà a rafforzare la presenza del Ticino nel discorso artistico nazionale.
Passando invece alla situazione del LAC, ci sono delle opportunità per lavorare a più stretto contatto con LuganoMusica e LuganoInScena?
Ho iniziato da subito a lavorare con i responsabili delle altre discipline con l’obiettivo di integrare e valorizzare il centro con una vera trasversalità, nel rispetto dei tempi e delle peculiarità che contraddistinguono ogni settore. Come Museo, abbiamo meno flessibilità, rispetto alle altre programmazioni, ma mi auguro davvero che troveremo delle possibilità di approfittare di questa vicinanza e di questa situazione particolare, quasi unica, insieme a Carmelo Rifici e a Etienne Reymond.
Mi sembra che la mediazione culturale sia una questione che lei reputa molto importante per il funzionamento di un museo.
Sì, estremamente importante. Credo comunque che ci sia ancora molto da fare in Svizzera: per tradizione non è un settore molto sviluppato. Viene affrontato con molta più considerazione in Germania, negli Stati Uniti o in Inghilterra. Anche nella Svizzera tedesca sta lentamente prendendo maggiore spazio solo negli ultimi tempi. Sul piano internazionale vediamo come sia oggi possibile una scelta molto più ampia di attività che coinvolgono ogni tipo di pubblico. A Lugano comunque partiamo da una buona situazione e restano ancora occasioni di crescita.
Parlando invece della situazione dei musei in Ticino, crede che esista la possibilità di «fare rete»?
Speriamo di trovare dei modi per lavorare insieme. Per la programmazione, noi abbiamo bisogno di collaborare con altri soggetti, ma spesso ha più senso scegliere partner che siano geograficamente più distanti. Le dimensioni dei musei che lavorano insieme non contano, ma conta piuttosto l’interesse del pubblico. Quando ero ad Essen, era attiva l’associazione dei RuhrKunstMuseen, che riuniva i musei d’arte della Regione della Ruhr. Realizzammo insieme una grande mostra sull’arte cinese, ma purtroppo non funzionò bene perché le sedi dell’esposizione erano troppe e tutti si recavano solo in quelle più facili da raggiungere. Ma, a parte quest’esperienza, spero che in Ticino potremo trovare dei modi di lavorare insieme e, se possibile, anche di aiutare gli altri musei. Per esempio in termini di rete professionale. Prima di tutto però dobbiamo portare a termine i nostri compiti qui a Lugano, perché l’integrazione fra il precedente Museo Cantonale e il museo comunale non è ancora totalmente compiuta. Quindi il primo passo è diventare noi stessi un organismo omogeneo al suo interno.
Per quanto concerne la sua personale esperienza, riguardo alla curatela di mostre, vorrei chiederle come intende portare il suo contributo in Ticino.
Credo che avverrà soprattutto tramite i contatti e i rapporti che si possono creare nel corso di una carriera. Una mostra oggi non è più realizzata come in passato, quando si andava nello studio di un artista a fare una selezione di opere da esporre. Si tratta piuttosto della scelta del museo di produrre il progetto artistico: è per questo che l’anno prossimo abbiamo deciso di lavorare con Julian Charrière, uno degli artisti svizzeri più interessanti anche a livello internazionale, che sta ora avendo un forte successo. Lo stiamo già seguendo con il suo progetto, che si svolge prevalentemente in Islanda. La mostra si terrà l’anno prossimo allo Sprengel Museum di Hannover e da noi a Lugano. Anche per questo genere di cose ci vuole sia tempo e pianificazione: molte delle iniziative del 2018 erano già in programma prima del mio arrivo, ma dall’anno prossimo porterò a pieno il mio contributo anche a livello curatoriale, perché voglio seguire da vicino ogni passaggio della vita del museo, da quelli più tecnici e logistici, a quelli di conservazione e di uso degli spazi. È una quesitone importante per me, in termini di esperienza personale, per capire dove si può fare meglio.
Da ultimo, c’è qualcosa che vorrebbe condividere con i lettori?
Sì, per me è stato un grande piacere trovare qui, in tutta la Città, in tutto il Cantone, un forte sostegno al MASI. C’è consapevolezza di quanto questo progetto sia importante e che tutti possano averne beneficio. Un atteggiamento positivo oggi non è così scontato e mi fa ben sperare, dato che ne avremo molto bisogno in futuro.