Avere l’opportunità di lavorare nell’ambito di una residenza artistica è una preziosa opportunità. È una pratica ricorrente fra le strutture più accreditate, in particolare i teatri, che possono così sostenere, seguire gli sviluppi di un progetto e avere una sorta di ius primae noctis sulla produzione. Come nel caso di LuganoInScena e del LAC nei confronti di Lorena Dozio e della sua compagnia CRILE con una residenza (2017-2019) che si inserisce nel quadro del progetto YAA! Young Artist Associated promosso da Pro Helvetia e che mira a potenziare le possibilità di circolazione di un’opera oltre a un ampliamento della rete professionale con il resto della Svizzera, con l’Italia e con altri paesi.
Durante il periodo di durata del progetto, sono previsti momenti di condivisione del lavoro coreografico aprendo le porte del teatro per mostrare lo stato dei lavori. Ricordiamo che Lorena Dozio durante la residenza ha già realizzato un primo spettacolo Otolithes, che ha vinto la coproduzione del Fondo dei Programmatori di RESO Rete Danza Svizzera, e il solo Dazzle. Recentemente artisti del territorio e operatori del settore sono stati ospitati nell’atelier di Lorena Dozio allestito sul palco del LAC per assistere a una parte della sua prossima produzione: RAME, una coreografia che l’artista sta preparando e che vedrà il suo debutto il prossimo anno. Un work in progress che però già esibisce tutte le sue credenziali.
Come si evince dal titolo, è un lavoro che si sviluppa attorno all’oggetto scenografico, un découpage di cartone (Meryem Bayrem), gigantesco origami dalla lingua di rame, una danza che evidenzia la cifra stilistica della coreografa e danzatrice ticinese, ispirazioni intellettuali, spunti di studio e approfondimenti teorici che coincidono con i fondamenti di una ricerca che sfocia nei movimenti di natura astratta e minimalisti che in Rame realizza sulla scena con Daphne Koutsafti e Daniela Zaghini, unite nella costruzione di forme nello spazio, nella creazione del visibile e dell’invisibile, apparendo e sparendo fra le luci (Séverine Rième) e gli incastri con movimenti continui, lenti e cadenzati, spostamenti ritmati da una misurata andatura corale.
Una scrittura mossa anche da un progetto di scomposizione della musica barocca e sonorità elettroniche (Carlo Ciceri), trama di un filo invisibile dal quale far nascere volumi sulla superficie dichiarata, quella del palcoscenico dal quale, nel frattempo, sorgono forme e contrasti come proposte di un linguaggio originale, un’architettura interessante ma dagli sviluppi non ancora del tutto definiti. È bene alzarsi da tavola con ancora un po’ di appetito. In questo caso rimane viva la curiosità di assistere al prodotto finale.