Bibliografia
Robert Darnton, I censori all’opera, Milano, Adelphi, 2017


Il libro va bene

La censura come fenomeno sociologico ed etnografico che permea e innerva le istituzioni in un poderoso libro dello storico Robert Darnton
/ 20.11.2017
di Stefano Vassere

«Per la maggior parte, i censori mostravano di prendere il loro compito con molta serietà e impegno: nell’esaminare un trattato sul commercio e sui tassi di cambio, il censore incaricato corresse l’ortografia e rifece quasi tutti i calcoli; altri stilavano un elenco degli errori fattuali, correggevano gli errori di grammatica, indicavano i difetti di stile e mettevano particolare cura nel segnalare le formulazioni che potevano risultare offensive».

Non ci sono dubbi sul fatto che la parola censura sia pregna dei secoli, dei fatti e delle persone che ha in varia misura interessato. E che la pratica dell’esame affidato a qualche tipo di autorità di scritti e condotte sia stata interpretata soprattutto nel suo aspetto di sanzione limitante: la censura taglia, impedisce, proibisce. Tra le connotazioni del termine si è indubbiamente fatto avanti il significato aggiunto di «biasimo», «critica», «divieto».

È quindi legittimo accogliere con favore l’ultimo libro dello storico e direttore della biblioteca di Harvard Robert Darnton. Il titolo, I censori all’opera, sembra banalmente allusivo al doppio significato dell’espressione («quelli che lavorano sulle opere» e «quelli che sono all’opera»); leggendo il libro, se ne capisce però un’altra valenza: quella dell’analisi quasi etnografica, antropologica, certamente sociologica, dell’ufficio della censura come una specie di gestione del ruolo statale nella produzione e nella promozione dei libri. Che può essere più o meno neutra e dipende certamente dai caratteri stessi dello Stato. Riformulando, «l’attività dei censori in mezzo a tutte le altre attività che operano nell’apparato statale».

I pilastri del libro di Darnton sono l’analisi di tre situazioni storiche circoscritte, un’ampia introduzione, le conclusioni, sessanta pagine di note e abbondante materiale iconografico. Un saggio storico può essere rigoroso e documentato e insieme non cedere sul piano della leggibilità; questo saggio storico ha molta dignità su entrambi i versanti. Le situazioni, esemplificative e poi anche comparate, sulle quali si esercita riguardano la Francia del diciottesimo secolo, l’India della dominazione britannica del diciannovesimo, la Repubblica democratica tedesca nel ventesimo.

Tra ampie parentesi, sarebbe bello enumerare una buona volta i tratti che distinguono un saggio che viene dalla prolifica e seducente ricerca storica anglosassone da quelli meno narrativi di tradizione a noi più prossima. L’uso della prima persona? La rappresentazione del ricercatore stesso, che è descritto per esempio mentre sale le scale di uffici a Berlino est? L’espressione esplicita di dubbi, riserve e debolezze, le dichiarazioni di rinuncia a percorrere direzioni a favore di altre?

Sia come sia: sarà il piglio del testo, sarà la prospettiva etnografica e antropologica scelta, questo libro è veramente ricco e divertente. E ci aiuta a capire un aspetto fondamentale della storia della censura come istituzione: che non è la banale attività di forbicicchio su quello che non va, sulle immagini osées, su quelle che danno fastidio a tizio o a caio, su posizioni politiche e religiose non allineate. È, la censura, un istituto che andava (e va? Nella moderna società della Rete, chissà?, il libro dovrà essere un altro) «ben oltre gli occasionali tagli ai testi, ma si estese fino a modellare e informare la letteratura stessa in quanto forza operante in tutto l’ordine sociale».

Spesso i censori operano anche in positivo: nella Francia borbonica, la pubblicazione di un libro era considerata un privilegio e la censura non era solo lo spurgo di quello che non andava ma anche una serie di operazioni volte alla certificazione ufficiale dell’utilità della lettura di un libro, un avallo, una garanzia di autorità. Nel bene o nel male, almeno nei tre quadretti nazionali e temporali, la censura è la serie di attività statali e del parastato che definiscono una politica (da discutere, è chiaro) della lettura e della pubblicistica. Vista da qui, è indubbio, è tutta un’altra storia.