Quando Nasser al-Din, scià di Persia dal 1831 al 1896 decide di fare un Grand Tour per l’Europa, parte «all’orientale». Al suo seguito, oltre ai notabili, ai servi, ai soldati, porta anche le sei mogli preferite (ne aveva quasi 100, tutte baffute), nonché la concubina Banu, aggregatasi al corteo da clandestina, dopo essersi nascosta in un baule. Il costosissimo viaggio, che lo porta a incontrare i grandi protagonisti dell’epoca, è stato finanziato grazie alla vendita di terreni ai britannici (zeppi di petrolio, di cui lo scià non sapeva cosa fare) e all’aiuto di Nicola II, l’ultimo zar. Forse intimamente consapevole dei progressi industriali, tecnologici scientifici e di pensiero che contraddistinguevano l’Europa sul finire del Novecento, lo scià pensò bene di affidare le proprie impressioni e le proprie memorie a un diario.
Ed è proprio qui che si inserisce il bravo Kader Abdolah (pseudonimo di Hossein Sadjadi Ghaemmaghami), orientalista olandese di origini iraniane, considerato all’unanimità come il più bravo scrittore contemporaneo dei Paesi Bassi. Dopo essersi imbattuto nelle memorie dello scià, decide di seguirne le tracce, ma non in silenzio, bensì palesandosi regolarmente al lettore, situando i luoghi visitati dal sovrano in un contesto contemporaneo, contrassegnato dalle questioni cruciali che affliggono l’Europa presente, come le immigrazioni. Il risultato è che non si finisce per affezionarsi unicamente allo scià, ma anche allo stesso Abdolah, che si mette in campo con il proprio corredo di umane debolezze.
L’Europa con cui si trova confrontato lo scià vive nell’imminenza di un cambiamento epocale e, in modo parzialmente inconsapevole, si sta preparando per la prima delle due guerre mondiali che la dilanieranno. I dialoghi con Nicola II, ma anche con Leopoldo in Belgio, con von Bismarck in Germania e da ultimo, ma non per importanza, con la regina Vittoria (ossessionata dalla messa a punto del primo water closet privato della storia) in Gran Bretagna, denotano un’inquietudine di fondo che, se da una parte fa da preludio alle rivoluzioni e alle guerre ormai alle porte, dall’altra illustra in modo quasi brutale l’arretratezza della vita di corte in Persia, che si perpetua mollemente da secoli, con canoni di bellezza ed esistenziali, ormai superati e obsoleti. Lo scià prende coscienza della spaccatura dei due mondi, pur rimanendo consapevole del proprio retaggio culturale e dell’impossibilità di attuare un vero cambiamento nel proprio Paese.
Al termine di questo Uno scià alla corte d’Europa (Iperborea), che si legge tutto d’un fiato, oltre a un senso di curiosità, a prevalere è forse la tenerezza: tutto merito della penna di Abdolah.