«Sono suoni che non siamo più abituati ad ascoltare. Che voce misteriosa: sembra venire dalle viscere della terra!». È l’intellettuale Enrico Steiner a parlare, in una delle scene più eteree e meditative di tutta La dolce vita. Il suo interlocutore – va da sé – è Marcello Rubini, il disincantato giornalista e scrittore romano cui Marcello Mastroianni diede volto eterno, e il suono tanto misterioso di cui stanno discutendo è quello dell’organo di una chiesa dove assieme si sono rifugiati per suonare un po’ di Bach.
Sono passati cinquantasei anni da quando Fellini tracciò ne La dolce vita quel ritratto onirico e impietoso di un mondo che si avviava verso la postmodernità, e tutto quanto da allora – la società, la cultura, la musica – ha vissuto modifiche semplicemente inimmaginabili. È quindi più che curioso notare come gli attributi riconosciuti quasi per caso allo strumento organo – suoni inabituali che sembrano sorgere dalle viscere della terra – siano rimasti sostanzialmente intatti: è cambiato tutto, ma non la magica percezione che l’uomo occidentale ha dell’organo.
Per esserne sicuri non c’è modo migliore che evocare il Mastroianni in ognuno di noi e partecipare dal 21 al 28 ottobre prossimi a una delle quattro serate del Festival Organistico Ticinese. Una manifestazione di recentissima fondazione ma che ha ben salde le proprie peculiarità: «non vuole certamente sostituirsi alle ottime, ricche e prestigiose realtà già esistenti da tempo sul territorio, ma offrire un quadro complessivo delle ricchezze artistico-musicali – nella fattispecie organistiche e organarie – presenti in tutto il cantone» ci dice Stefano Molardi, direttore artistico del festival nonché professore d’organo presso il Conservatorio della Svizzera italiana. Un elemento distintivo della manifestazione è la dislocazione degli appuntamenti: «si va infatti da Canobbio, a Mendrisio fino a Faido, per una presenza decisamente trasversale. Tre concerti sono inseriti dal 21 al 23 ottobre, per un fine settimana di immersione musicale organistica che arricchisce non solo culturalmente le singole comunità in cui si svolge l’evento, ma anche gli appassionati e gli studiosi».
L’intento piuttosto evidente è quello di valorizzare il patrimonio organario di cui il Ticino va particolarmente fiero: ma si tratta davvero di un tesoro nascosto, oppure è il sentimento d’affetto campanilistico di ogni comunità che ci porta spesso a ribadire «nella nostra chiesa c’è un organo davvero particolare»? «Quest’orgoglio organario non è così infondato perché in Ticino – per la posizione geografica a metà tra cultura italiana e tedesca – convivono elementi molto caratteristici di entrambe le tradizioni: a volte molto distinti, altre volte mescolati. Quest’anno i nostri concerti saranno su due strumenti tipici della tradizione italiana antica (l’organo Bossi del 1810 a Mendrisio) e novecentesca (l’organo Mascioni del 1912 a Faido) oltre a strumenti di nuova costruzione come il magnifico Mascioni di Giubiasco vicino all’estetica tedesca del nord: un autentico vanto per il Ticino». E dal punto di vista dei contenuti come si posiziona il Festival Organistico Ticinese? «L’idea è sempre quella di invitare importanti personalità del mondo organistico internazionale, non solo figure di grandi virtuosi/esecutori tout court, ma anche interpreti sensibili, ricercatori e studiosi dei tanti e variegati aspetti della prassi esecutiva». Nomi eccellenti, quindi, come l’italiano Claudio Astronio, il romando Gabriel Wolfer e l’austriaco Johannes Strobl, ma anche musicisti della nuova generazione – perché «lo scopo del festival è anche quello di valorizzare giovani di talento» come l’organista Beniamino Calciati che suonerà con la soprano Valentina Londino.