Il dolore dell’attesa e della fuga

Al Sociale di Bellinzona la Giornata della Memoria è stata celebrata con Il dolore di Marguerite Duras; al LAC la compagnia di Philippe Saire si è chinata sul mito di Atteone
/ 03.02.2020
di Giorgio Thoeni

Raffinate qualità di interprete possono associarsi a diversi volti. Così un attore può essere al contempo autore e regista. Una sfida coraggiosa che è stata recentemente offerta a Margherita Saltamacchia chiamata a dar corpo e luce alla trasposizione scenica de Il dolore di Marguerite Duras. Un debutto che ha fatto da corollario alla Giornata della Memoria, un’iniziativa prodotta dal Teatro Sociale e dal suo direttore artistico Gianfranco Helbling che ha dato l’opportunità a tre giovani artisti del territorio di sottolineare quanto il teatro possa contribuire alle emozioni senza ricorrere a grandi mezzi ma lavorando sulla forza espressiva delle parole e sulle idee. La Saltamacchia ha così progettato la trasposizione del romanzo autobiografico della Duras grazie a un monologo reso con l’aiuto di Rocco Schira (violino, voce e loopstation) e Raissa Avilés (voce e canto) in un gioco di suggestioni sonore per raccontare i tormenti della scrittrice francese in un momento particolarmente doloroso della sua vita: l’attesa per il ritorno del marito Robert L. dai campi di sterminio nazisti.

Una lunga e disperata attesa testimoniata sulle pagine di un diario che in seguito diventerà un romanzo autobiografico. Nel compiere il passaggio dalla lettura scenica all’allestimento teatrale, Margherita Saltamacchia affronta l’esercizio nel rispetto dei livelli espressivi che la scrittura impone attraverso la duplice dimensione del tempo dell’attesa, cadenzata dal passare dei giorni e quello del presente, scandito dal momento in cui il marito ritorna, in uno stato pietoso ma sopravvissuto al campo Dachau appena liberato dagli americani.

Il diario della Duras si articola così in due parti, tra pagine di riflessioni sulla vita, sull’essere, e il dramma di non riuscire a ricostruire e a vivere il presente. Questa versione teatrale, dopo le fortunate letture sceniche de Il fondo del sacco e di Frankenstein, autoritratto d’autrice, permette alla Saltamacchia di trasformare le pagine della Duras in un adattamento agile, dinamico, efficace nella sua forza evocativa amministrata con delicata sensibilità recitativa. Una bella prova di maturità per l’attrice che si è impadronita del personaggio con naturalezza e passione, un’empatia e un messaggio trasmessi alla platea del Sociale, piena per l’occasione. Contribuiscono al successo dell’operazione i contributi di Rocco Schira con la splendida voce di Raissa Avilés: atmosfere sonore realizzate, va aggiunto, in stretta collaborazione.

Caccia e allegoria alla corte di Philippe Saire

Il pregio di una coreografia è quello di riuscire a raccontare una storia attraverso i movimenti del corpo. Gli artisti contemporanei, quelli più affermati e vivaci, si fanno spesso aiutare dalla dimensione multimediale. Philippe Saire, danzatore e coreografo svizzero, per il suo Actéon, andato in scena nella Sala Teatro del LAC, ha preferito affidare la sua vena creativa al corpo dei danzatori in uno spazio nudo raccontando un mito.

Durante una battuta di caccia, Actéon si imbatte nella grotta in cui Diana e le sue compagne fanno il bagno. La dea, adirata per l’oltraggio, gli spruzza dell’acqua sul viso trasformandolo in un cervo che dovrà scappare, braccato dai suoi stessi cani. Nel fruscio della foresta e con (insoliti) inserti cantati, Saire si schiera col racconto della caccia con una danza fisica e coinvolgente, che usa la metamorfosi di Actéon per un’allegoria di grande efficacia per la bravura dei suoi interpreti: Gyula Cserepes, Pierre Piton, Denis Robert e David Zagari.