Kevin Merz, com’è nato questo lavoro? Come hai conosciuto i Gotthard?
Per dirti la verità è la prima volta che un progetto non nasce da una mia iniziativa, mi è stato proposto da Tiziana Soudani, produttrice con la quale collaboro da parecchi anni. D’istinto ho accettato perché sono una persona che «va molto di pancia», poi però ripensandoci razionalmente era inconcepibile per me perché io non c’entro nulla con i Gotthard. Sono della generazione di un altro genere, non conoscevo bene l’hard rock e avevo anche una specie di pregiudizio; insomma avevo 14 anni quando è arrivato l’anti star Kurt Cobain con il grunge. Però sentivo che era il progetto giusto, così ho approfondito la loro musica e ho scoperto che avevano alle spalle una storia umana molto bella e questo per un regista è importante. Conoscendoli è svanito il pregiudizio, i Gotthard emozionano tante persone per una ragione, ne ammiro la carica.
Com’è stato lavorare con loro?
Sono molto professionali. Quando decidono di fare una cosa ci mettono corpo e anima e vanno fino in fondo. Ovviamente si tratta di 5 musicisti con caratteri diversi, qualcuno più aperto davanti alla camera, e qualcuno meno; Leo era restio a farsi filmare. Ho riscontrato una dinamica, che non mi aspettavo, inversa rispetto ad altri progetti: tutti si sono hanno parlato più liberamente durante le interviste filmate e ripetute diverse volte con la telecamera di fronte, mentre quando li seguivo in tour è stato quasi difficile entrare nell’intimità.
Quale personalità è stata più complicata da esprimere?
Quando decidi di raccontare tutta la storia di una band la cosa più difficile è far emergere ogni singolo personaggio, a cui magari lo spettatore si affeziona. Bisogna fare delle scelte per permettere anche a chi non li ascolta di conoscerli nei primi 15 minuti. In questo caso è stato difficile trattare la figura di Steve Lee, perché non c’è più. Le scene d’archivio su di lui rischiavano di prendere il sopravvento e mantenere un equilibrio ha richiesto molto lavoro. Forse avrei potuto cristallizzare e approfondire di più Steve Lee.
Sei un «ritrattista con la telecamera»: come scegli soggetto e taglio?
Solitamente scelgo temi a cui tengo. Per quanto riguarda il taglio, lo stile, negli anni ho trovato il mio linguaggio. Per me è stato naturale fare film, soprattutto documentari. Il soggetto lo scelgo con il flow, a intuito, e spesso è qualcosa di molto vicino a me o alla mia famiglia, come per An African Election. Il documentario che ho appena terminato è un po’ personale e un po’ universale.
Cosa racconta?
Racconta le storie di persone che frequentano un bar di quartiere, il Bar Corallo di Besso. Verrà proposto a «Storie» sulla RSI, l’11 marzo.
Tu che regista sei? A cosa devi pensare prima di un film?
Di solito lavoro con crew molto piccole, e spesso prendo io stesso la telecamera in mano e giro, anche da solo. Non sono autoritario. Per Gotthard – One life, one soul bisognava pensare a fondi e distribuzione, ma in generale mi concentro solo sui soggetti. Penso poco forse. (Ride)
Trovi che in Svizzera le istituzioni culturali diano sufficiente sostegno ai documentaristi?
In confronto ad altri Paesi siamo molto fortunati, chiaramente non può mai essere abbastanza. Il documentario in Svizzera è fortissimo, ci sono autori da Oscar. Il Ticino rispetto alla Svizzera interna ha meno fondi, è difficile superare una certa cifra.
Quanto è difficile la proiezione nelle sale di un documentario?
È difficilissimo, la televisione aiuta di più. Si riescono a ottenere proiezioni singole nei festival, ma il mainstream è della fiction. Hollywood impone fiction, ma al cinema bisognererebbe proporre più spesso documentari.
Al Film Festival di Locarno la prima mondiale è stata un successo eccezionale. È la prima volta che un mio film oltre alla visibilità di festival o televisione, viene proiettato in più di 20 cinema svizzeri, è una grande soddisfazione.
Se un giorno dovessero girare un documentario su di te, chi vorresti fosse il regista?
Mio fratello, perché mi conosce molto bene e avrebbe la giusta sensibilità per raccontarmi.