Il destino delle tempeste

L'editore ticinese Gabriele Capelli pubblica un’antologia poetica della neozelandese Janet Frame
/ 20.11.2017
di Daniele Bernardi

Negli anni 90 Jane Campion – Lezioni di piano (1993), Ritratto di signora (1996), Holy Smoke (1999) – portava sul grande schermo Un angelo alla mia tavola, film tratto dalla prima parte della tormentata autobiografia di Janet Frame (Dunedin, 1924-2004). Se fino ad allora l’opera e la vita della Frame erano note solo in parte alle nostre latitudini, con questa pellicola un pubblico ben più vasto ha scoperto il destino di un’importante scrittrice, che presto dovette scontrarsi con la voracità del male di vivere, con la povertà e l’emarginazione.

Ma ad oggi il lettore di lingua italiana non aveva avuto modo di esplorare una parte centrale del suo percorso: la poesia. Infatti le traduzioni dei suoi libri – Dentro il muro (Mondadori, 1990), Gridano i gufi (Guanda, 1994), Giardini profumati per i ciechi (Guanda, 1997) e altre ancora – hanno sempre privilegiato la sua produzione in prosa rispetto a quella in versi. Eppure la poesia pervade l’universo della Frame in modo pregnante, tant’è che alcuni suoi brevi racconti possono essere considerati veri e propri componimenti lirici.

A colmare questa mancanza ci pensa la collana di poesia della Gabriele Capelli Editore, ora diretta dal poeta Fabiano Alborghetti: Parleranno le tempeste è infatti una bella antologia, a cura di Francesca Benocci ed Eleonora Bello, che raccoglie brani dalle raccolte The Pocket Mirror (1967) – la sola pubblicata in vita – e The Goose Bath (2006). Il volume consta di cinquantatré testi ed è introdotto da una nota della esecutrice letteraria della Frame, la nipote Pamela Gordon.

Consegnando il proprio ritratto della scrittrice, la Gordon rivela quanto, tuttora, al di là degli indiscutibili riconoscimenti all’opera romanzesca (due volte candidata al Nobel per la letteratura), Janet Frame venga paradossalmente osteggiata dai circoli poetici dei «maschietti» della Nuova Zelanda: forse perché poco convenzionale o, semplicemente perché donna, la Frame – cito testualmente – è considerata non «di particolare influenza o valore come poetessa».

Curioso destino, per una ragazzina che nei suoi diari di adolescente scriveva in segreto: «Tutti pensano che farò l’insegnante, ma io farò la poetessa» (non va escluso, anche, che questo avvenga perché la cospicua produzione narrativa della Frame mette in ombra il suo percorso poetico).

Ma veniamo al libro. Come accennato, The Pocket Mirror, «Lo specchietto da tasca», è l’unica raccolta curata dall’autrice; altri testi appaiono in romanzi, sono stati pubblicati in riviste oppure semplicemente letti in pubblico. All’epoca la Frame era una donna adulta, già in possesso della propria maturità espressiva. Lo confermano, ad esempio, i versi di Il clown, dove si recepisce una forza dolorosa, frutto di un sapere che si misura col profondo patire umano: «Caro clown piangente caro vecchio uomo infantile / caro assassino gentile caro colpevole innocente / cara semplicità ti odio per avermi fatto credere / che esistano tanti mondi per una sola verità quando / lo so, lo so che non è vero. Cara gente come me e te / che abbiamo aliti cattivi, che non ci svegliamo in tempo e ci rodiamo / il fegato...».

Pure si trovano, qui, brani diversissimi, nei quali ricorrono il gioco linguistico (peccato non avere il testo a fronte) e la denuncia delle violenze del proprio tempo; è il caso delle poesie Istruzioni per il bombardamento col napalm, Storia e Napalm. O ancora testi da cui emergono dettagli del quotidiano, che si fanno carico di un sentimento di imminente caducità – vedi Il posto o Sgomberare l’immobile.

The Goose Bath, «Il bagno dell’oca», è invece una raccolta postuma per esplicito volere dell’autrice. Stando a quanto ci è dato leggere, si tratta di un libro rivolto all’idea della fine, della scomparsa degli amici e degli affetti: «Nelle fiabe la morte / provoca sempre il nascere di un fiore o un uccello / la creazione di una creatura bellissima / che resta nello stesso posto per sempre», si legge in L’uccello turchese, «ed è sconcertante per il mondo / perché resta e non fa altro che essere quello che è / e guarda fisso giù circondata da luce / dall’alto dell’oscurità di quello che fu».

Più volte poi, con potenza visionaria, in vari brani si rivelano panorami angoscianti, che paiono affacciarsi come dai crepacci di una memoria devastata; un esempio su tutti è il fortissimo testo Una stanza, con il susseguirsi delle sue immagini da incubo manicomiale. Non mancano, inoltre, i temi amorosi e le meditazioni – mai erudite, sempre autentiche – sulla poesia intesa come destino.

Ma si potrebbe dire altro, perché Parleranno le tempeste è certo una gemma preziosa nel sovraffollato panorama dell’editoria italofona. Si invitano quindi i lettori a farsi avanti per scoprire il mondo poetico di Janet Frame, augurandosi che questa iniziativa rappresenti il principio di un felice percorso della rinnovata collana della casa editrice mendrisiense.