Il criminale morale

Un romanzo dello scrittore francese Olivier Guez ricostruisce e ricrea la biografia di Josef Mengele
/ 09.07.2018
di Luigi Forte

Lo chiamavano l’angelo della morte. Aveva dissezionato, torturato, bruciato bambini, spedito nelle camere a gas di Auschwitz quasi quattrocentomila persone, come ci racconta lo scrittore e sceneggiatore francese Olivier Guez nel suo intenso romanzo La scomparsa di Josef Mengele edito da Neri Pozza nell’ottima traduzione di Margherita Botto. Era nato nel 1911 a Günzburg, in Baviera, dove suo padre possedeva una florida azienda di macchine agricole. Ma lui aveva altro per la testa: voleva diventare medico e ricercatore ed essere ricordato per qualche importante scoperta. Divenne invece tristemente famoso come uno dei maggiori criminali nazisti.

Laureato in antropologia e in medicina, già nel 1937 Mengele era assi-stente di Otmar von Verschuer, illustre scienziato noto per gli studi sulla genetica, che gli trasmise l’interesse per i gemelli da lui analizzati e sezionati nei ventuno mesi di permanenza nel lager di Auschwitz a partire dal maggio del 1943. L’ambizioso dottore non aveva perso tempo: appena ventenne entrò nell’organizzazione paramilitare «Elmetti d’acciaio» per poi confluire nelle SA, le «camicie brune» di Ernst Röhm. Diventerà presto membro del partito nazionalsocialista e l’anno dopo, nel 1938, delle SS, fino a conseguire il grado di capitano per i suoi meriti di guerra nell’aprile del 1943. Fu però Auschwitz il suo «trionfo». Ossessionato dal gusto dei dettagli, dall’efficienza e dalla cura dei particolari, vi trovò il laboratorio ideale per proseguire alla perfezione le sue ricerche. Poteva analizzare, operare, sezionare qualsiasi soggetto e inviare al professor Verschuer i suoi preziosi prelievi: midollo, occhi, sangue, organi di esseri umani. Freddo e instancabile, convinto di agire da uomo morale, come racconterà all’amico Hans Ulrich Rudel colonnello della Luftwaffe, incontrato con tanti altri ex nazisti a Buenos Aires. Perché ad Auschwitz – ribadisce – lui aveva curato il corpo della razza e lottato contro i nemici interni: omosessuali e asociali e soprattutto ebrei, «quei microbi che da millenni operano per distruggere l’umanità nordica». Non è bastato il crollo del Terzo Reich per mettere fine alla sua paranoia. Continua a pontificare in terra argentina nell’ambiente della casa editrice nazista Dürer, dove passa per un intellettuale e ha modo di conoscere molti camerati che ancora aspirano a riconquistare la Germania. Per tutti vale il motto dell’aviatore Rudel, il pilota più decorato della storia tedesca: «È perduto solo chi si lascia andare». E lui ha pensato bene di mettersi al sicuro in un paese dove i sogni imperialistici del futuro dittatore Perón lasciano ben sperare. Si mimetizza dietro un paio di baffi e un documento di viaggio della Croce Rossa: alla dogana argentina lo prendono quasi per un hidalgo con quella carnagione e quei capelli così scuri. Dal 22 giugno del 1949 quando sbarca nel nuovo continente si chiama Helmut Gregor, è cittadino tedesco di nazionalità italiana, cattolico, di professione meccanico.

Qui comincia la lenta, inesorabile discesa agli inferi di Josef Mengele che Guez segue con grande estro in una narrazione oscillante fra l’invenzione romanzesca e la testimonianza storica. La ricca documentazione di cui si è servito rivive come sullo schermo cinematografico con il ritmo incalzante di un thriller. Perché questa è la storia di una fuga, di una sempre più misera clandestinità dove l’inafferrabile principe delle tenebre, il moderno Caino, che adora i romantici tedeschi e la musica di Wagner, si trasforma in un commerciante, in un esperto svizzero di allevamento, in un contadino. Lavora in aziende agricole nella savana, si sposta fra l’Argentina, il Paraguay del dittatore Stroessner e infine il Brasile, dove si adatta a vivere in un bungalow, una catapecchia fatiscente nella periferia degradata di San Paolo. Certo, ci sono stati anche momenti belli e felici che per un attimo gli hanno fatto credere di essere finalmente al sicuro. È vero che la moglie Irene e il figlio Rolf non l’hanno seguito, ma ben presto si consola con la cognata Martha rimasta vedova che lo raggiungerà con il proprio figlio. Lui ottiene un prestito e acquista una splendida villa con piscina. La vita gli sorride: ha di nuovo una famiglia, molti amici che lo proteggono, una posizione regolare presso le autorità argentine e i parenti bavaresi sempre disposti a sostenerlo finanziariamente. Nessuno – è ormai convinto – riuscirà ad arrestarlo.

Destino individuale e background storico si fondono in un unico rac-conto e rendono via via sempre più animata la scena del romanzo con gruppi di vecchi, recidivi nazisti fra cui spicca la figura di Eichmann rapito da agenti del Mossad nel maggio del 1960, spie, dittatori da operetta e icone femminili come Evita Perón osannata e venerata dalle folle. Ma già si annunciano le prime crepe. Mengele viene arrestato per aver procurato degli aborti clandestini; se la cava corrompendo un ufficiale di polizia. Nel frattempo un giornalista di Ulm sporge denuncia contro di lui e il suo nome rimbalza sulla stampa tedesca perché una ex governante ha raccontato che vive in Sudamerica. L’uomo, in preda al panico, fugge di casa e si trasferisce da solo ad Asunción in Paraguay. Ma sembra ormai impossibile bloccare la slavina che rischia di travolgerlo. Un comunista austriaco sulle sue tracce trasmette un dossier al ministro federale della Giustizia, mentre il procuratore di Friburgo spicca un mandato di cattura nei suoi confronti e il governo di Bonn ne chiede l’estradizione a Buenos Aires. Però anche stavolta l’aguzzino ce la fa grazie al denaro e ad amici compiacenti e riesce ad ottenere in brevissimo tempo la cittadinanza paraguaiana. Ormai il caso Mengele è all’ordine del giorno; anche il Mossad è sulle sue tracce. Ora vive in Brasile in una vecchia fattoria nella savana presso gli Stammer, una coppia di ungheresi. Ma la fortuna è dalla sua parte: il servizio segreto israeliano dovrà presto occuparsi d’altro e tralascia la ricerca, mentre il governo della Rft nel suo tentativo di estradizione va a sbattere contro un muro di omertà e indifferenza.

Il racconto di Guez è ancora più avvincente quando scivola nella quo-tidianità del personaggio, perché l’invenzione romanzesca lascia nel lettore la sensazione di un nucleo profondo di veridicità storica. È il miracolo di questo libro nel quale anche la fantasia sembra filtrata dai documenti. In realtà l’autore è penetrato così a fondo nel personaggio da rendercelo verosimile perfino nei momenti più privati: nelle angosce e nelle fobie di Mengele come nei suoi rapporti intimi con la signora Stammer o nei violenti contrasti con il marito. Come anche nel rapporto problematico con il figlio Rolf che, ormai adulto, andrà a trovarlo per porgli una domanda fondamentale: che mi dici di Auschwitz, papà? Non ci sarà risposta ma solo un farfugliare di vecchia retorica nazista e l’eterna inaccettabile giustificazione: non ero che una rotella dell’ingranaggio come tanti altri. Poi diventerà una sorta di fantasma, introvabile, irraggiungibile, l’icona impalpabile di quel Male assoluto che la mente umana stenta perfino a immaginare. 

La sua fine ce la racconta uno degli ultimi compagni, un certo Bossert, ex caporale della Wehrmacht. È il 7 febbraio 1979, quando Mengele in stato quasi confusionale, dopo una breve passeggiata con l’amico, si butta in mare e annega. Verrà sepolto a Embu sotto falsa identità. Ma negli anni ottanta Bossert vuota il sacco e i medici legali identificano «con ragionevole certezza scientifica» lo scheletro riesumato come appartenente al criminale nazista Josef Mengele. Il caso è archiviato, ma Guez ci ricorda con il suo splendido libro di mantenere viva la memoria e la resistenza a ogni insidia del male.

Bibliografia
Olivier Guez, La scomparsa di Josef Mengele, traduzione di Margherita Botto, Neri Pozza,p. 202, € 16,50.