Ifigenia, spettacolo dionisiaco e catartico

Il Cortile di Viganello ha invece ospitato la brava Egidia Bruno
/ 20.03.2017
di Giorgio Thoeni

Con la terza produzione di LuganoInScena la regia di Carmelo Rifici sferra un affondo nel mito nel quadro del «focus» che la sua stagione teatrale ha voluto dedicare alla tragedia. Ma non lo fa allestendo «una tragedia» e basta. Bensì utilizza il complesso componimento drammatico per indagare sulla pulsione primigenia della violenza (e del sacrificio) con un’analisi a tutto campo che smembra, ricuce e svela il tema dell’origine della specie umana attraverso un’operazione di drammaturgia incrociata, talvolta parallela.

Ifigenia in Aulide, il capolavoro di Euripide e ultimo testo dell’ultimo grande tragico, diventa Ifigenia liberata e si trasforma in rilettura e soggetto didattico per una profonda riflessione. L’indagine sulla violenza diventa così un progetto di vera e propria riscrittura realizzata in stretta collaborazione con Angela Demattè e imbastita su spunti tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento, ma anche da Omero, Eraclito, Eschilo, Sofocle e su riflessioni di filosofi come Nietzsche, René Girard, Giuseppe Fornari.

Attuare una ricerca sulla violenza dell’uomo, come afferma il regista, equivale ad addentrarsi in una «realtà inestirpabile e mistero senza fine», dove le ansietà della società greca finiscono col collimare con quelle della nostra contemporaneità in un contesto di guerre, esodi impressionanti, carestie e sacrifici di innocenti come inquietanti elementi di stagnazione della nostra società. Il pretesto per spiegare il meccanismo della tragedia viene offerto da due personaggi centrali nello spettacolo, immaginato come una prova aperta: il regista e la drammaturga che smontano il meccanismo della tragedia classica alla ricerca della storia della violenza come storia dell’uomo che necessita sempre di una vittima da sacrificare, di un capro espiatorio. Come in un unico «deus ex machina», i due personaggi si sdoppiano, agiscono per convincere, spiegare e motivare gli attori ricostruendo le azioni attorno al mito raccontato da Euripide dove si scopre che, alla fine, tutti sono responsabili e carnefici.

Nella formula ricca e di taglio divulgativo scelta dalla regia di Rifici, il mito dionisiaco e il peso della parola ci appaiono in tutta la loro luminosa chiarezza per una storia il cui meccanismo e gli ingredienti ripercorrono la struttura classica di molte tragedie. La ricordiamo brevemente. Una forte bonaccia costringe a una snervante attesa in Aulide la flotta greca, che vorrebbe partire alla volta di Troia per riportare in patria Elena, rapita da Paride. L’indovino Alcante predice l’arrivo del vento a condizione che Agamennone sacrifichi alla dea Artemide la figlia Ifigenia, avuta da Clitennestra. In caso contrario dovrà sciogliere l’esercito, rinunciare a Elena e, chissà, subire pure qualche cataclisma o maledizione. Spinto dal fratello Menelao, Agamennone chiede a Clitennestra di far venire Ifigenia con il pretesto di annunciarle che andrà in sposa ad Achille. Ben presto si fa strada l’inganno trascinando con sé dubbi e disperazione. Ma ormai nessuno può più tirarsi indietro. Clitennestra e la stessa Ifigenia cercano invano di dissuadere Agamennone. La giovane decide allora di andare incontro al proprio destino con atteggiamento catartico, appunto, liberatorio.

Il cast degli attori è scelto e prezioso. A cominciare dall’Ifigenia di Anahì Traversi, giovane attrice maturata considerevolmente, credibile e autorevole nella sua consapevole disperazione. A lei si accompagna una superba Giorgia Senesi (Clitennestra) con l’ottimo e originale duo di corifee con Caterina Carpio e Francesca Porrini. Davvero eccellenti tutti gli interpreti maschili, da Giovanni Crippa (Calcante e Vecchio) a Edoardo Ribatto (Agamennone), Vincenzo Giordano (Menelao), Igor Horvat (Odisseo) con Tindaro Granata e Mariangela Granelli, regista e drammaturga, «strumenti» per svelare il mistero della tragedia. 

L’umanità idealizzata attorno ai grandi temi evocati si avvale di soluzioni care agli allestimenti di Rifici come le immagini riprese da una telecamera, la simbologia infantile che connota l’innocenza, il ricorso alla maschera per gli ominidi, tra pareti che si aprono e si chiudono per introdurre o celare… è la scenografia di Margherita Palli che asseconda tutto ciò su un palco dove trionfa un’altissima scaffalatura di libri puntellata da simboli esoterici. Zeno Gabaglio diventa attore con le sue musiche eseguite dal vivo, al violoncello e ai sintetizzatori: suggeriscono, commentano, diventano sottolineatura della parola.

Un grande successo che dopo il suo debutto al LAC, approderà al Piccolo Teatro di Milano prima di iniziare una lunga tournée italiana.

Un monologo al pomodoro
Attrice e insegnante di recitazione, Egidia Bruno ha una speciale verve per il teatro di narrazione, formula teatrale «low cost» che però richiede un’attenta maestrìa. Professionista di grande esperienza, con i suoi monologhi ha trovato consensi unanimi in spettacoli come No tu no, dedicato a Enzo Jannacci e La mascula, realizzato con la regia del cantautore milanese che la stimava particolarmente, o ancora con W l’Italia.it, per citarne alcuni.

La Bruno è stata recentemente ospite della rassegna MAT nello spazio del Cortile di Viganello con Cunti di casa. A conferma della sua bravura, semplice e spontanea, l’attrice si presenta al tavolo di cucina mentre prepara i «ferretti», pasta tipica della Lucania, per raccontare la preparazione della passata di pomodoro che trasforma in spassosa liturgia di un popolare e antico rituale collettivo.