Ci sono persone che impazziscono per le star, che sono disposte a passare ore in attesa che una di esse compaia sul tappeto rosso di un festival o fuori da un albergo, per applaudire o fare il tentativo di una foto, magari addirittura un selfie. E poi c’è chi, invece, resta del tutto indifferente al fascino della celebrità: chi ricorda gli attori e le attrici per i personaggi interpretati, oppure le canzoni invece dei cantanti. Chi, insomma, tende a disinteressarsi delle persone «reali», riuscendo a tenere a mente solo il prodotto artistico di cui queste sono state autrici e autori. Esiste, però, una differenza tra celebrità e icona che cambia le regole del gioco.
Un’icona influenza l’immaginario nel tempo, non è riconoscibile solo dai fan e dai contemporanei, ma resta impressa nella memoria anche dei posteri, che magari non ricordano con esattezza le sue canzoni o film, ma ne riconoscono comunque il mito. È il caso di Jane Birkin: icona di sensualità, bellezza snella, di spregiudicatezza, di un amore sexy e totalizzante come quello che ha vissuto con il cantante attore, icona a sua volta, Serge Gainsbourg.
Se non siamo tra coloro che sono appunto interessati alle loro vite, di una celebrità non leggeremmo mai il diario, di un’icona sì. La prima parte di quello di Jane Birkin, che arriva fino al 1982, è stata di recente pubblicata in italiano dalle Edizioni Clichy. Si tratta di un dialogo tra Jane e la scimmietta Munkey, il pupazzo che l’ha accompagnata per tutta la vita, facendole da portafortuna, fino a che lei non ha deciso di riporlo nella tomba di Serge Gainsbourg, perché Munkey gli facesse da scorta negli inferi. Il diario inizia quando Jane è bambina, racconta del periodo della scuola, del collegio, del rapporto coi genitori.
L’amore fa capolino molto presto, con l’incontro e il matrimonio con il compositore premio Oscar John Barry – autore di molte colonne sonore, tra cui le più famose della serie di 007 – sposato quando Birkin era ancora minorenne. È a partire da questo punto che il testo cambia marcia e inizia in modo irresistibile a destare l’interesse di chi legge e si trova di fronte alle confessioni di una giovane e bellissima ragazza, innamorata di un uomo che tende a ignorarla. Significative e interessanti le pagine in cui Jane racconta di come non si sentisse desiderata da John, arrivando al punto di pensare di essere una ninfomane, solo perché voleva fare l’amore con il marito che invece si dimenticava, puntualmente, di lei. In tutto il diario a rendere viva la materia narrata è la spontaneità dei dubbi, degli entusiasmi e della sofferenza di una ragazza che poteva essere una come tante, ma era Jane Birkin e stava contribuendo a cambiare proprio il modo in cui si era ragazze a quei tempi, e dopo.
È bello anche come viene raccontata la maternità, il desiderio infinito di avere dei figli – Birkin avrà tre femmine – e il piacere di passare del tempo con loro. La spontaneità della relazione con le figlie è speculare a quella che Jane vive con la famiglia d’origine, con il padre e la madre, i fratelli, sempre presenti nella sua vita, al suo capezzale in alcuni momenti difficili, oppure pronti ad applaudire le sue imprese, anche quelle più controverse, come fu la versione di Je t’aime moi non plus registrata con Serge Gainsbourg e messa al bando dal Papa.
La relazione col cantante di origini ucraine naturalizzato francese occupa la maggior parte del diario, perché l’amore che Jane Birkin ha vissuto con Serge Gainsbourg è totalizzante, tanto che quando lei arriverà a lasciarlo per un altro uomo, il regista Jacques Doillon con cui avrà la terza figlia Lou, nel suo diario il protagonista resta Serge e l’incapacità dolorosa di Birkin di distaccarsene, di credere che ci sarà modo di vivere ancora un’attrazione e delle avventure così significative, anche senza di lui.
Interessanti sono le parti di raccordo che l’autrice ha composto per l’edizione del diario e che spiegano i retroscena di quelle pagine scritte sull’onda delle emozioni, a caldo è il caso di dire. Svelano i particolari di incontri, serate, film girati con altre icone degli anni 70, di quel tempo che ancora detta canoni estetici e culturali, quel decennio di icone e miti che non si lasciano dimenticare.