Un biondino smilzo dal viso asimmetrico e dallo sguardo che sembrava volerti trapassare da parte a parte, difficile riconoscere Sergio Leone diciottenne che vediamo immortalato vestito da seminarista in una foto di scena di Ladri di Biciclette, eppure quegli occhi da duro ci ricordano Clint Eastwood, con gli speroni, il poncho e il sigaro all’angolo della bocca, icona di quel mitico «west» creato anni dopo da Sergio ormai regista: un universo fatto di sguardi determinati, di vendette, di avidità, di crudeltà, di duelli pieni di pallottole e di sarcasmo.
C’era una volta Sergio Leone, la mostra curata da Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, acclamata a Parigi, e ora a Roma al Museo dell’Ara Pacis, a novant’anni dalla nascita del grande regista italiano (1929-1989), più che raccontarlo lo svela, mettendo insieme la sua biografia e spezzoni dei suoi sette celebri film, l’album fotografico della sua famiglia con i documenti, i costumi, i bozzetti, le testimonianze e le interviste di e su Sergio Leone, perché nel suo cinema tutto è strettamente legato come diceva lui: «Sono nato nel cinema. I miei genitori ci lavoravano, la mia vita le mie letture, tutto quel che mi riguarda ha a un rapporto con il cinema. Il cinema per me è la vita e viceversa».
Il cinema muto italiano è stato il suo parco giochi grazie alla madre Edvige Valcarenghi (l’attrice Bice Waleran), e soprattutto al padre Vincenzo Leone, attore e regista affermato con il nome di Roberto Roberti, del quale vediamo i copioni, le fotografie dei suoi film e delle sue dive.
Negli occhi bistrati di Gian Maria Volonté, «cattivo» teatrale e scellerato, dallo sguardo languido e crudele, di Per un pugno di dollari, c’è il ricordo beffardo di certe primedonne del cinema muto e il peso del destino fatale e implacabile del cinema orientale che, anche dopo Yojimbo di Kurosawa, che fu la molla di quel primo film, continuò ad affascinare Sergio Leone e a contaminare «le sue favole» costruite sulla vita vera.
«Mi sono formato alla scuola neorealista, ma in gioventù avevo il mito del cinema americano, proibito sotto il fascismo. In America c’è il mondo intero, se si lascia la cinepresa in un vicolo e si va a mangiare quando si torna c’è un film». Per questo Leone ambientava in America le sue storie intessute di spavalderia, di attori famosi, di primi piani, di silenzi, di melodie formidabili create da un suo ex compagno delle elementari diventato musicista, Ennio Morricone.
La «trilogia del dollaro» e poi: C’era una volta il West, Giù la testa, C’era una volta l’America, questa mostra racconta il Sergio Leone barbuto, visionario, artigiano, affabulatore geniale, che rivoluzionò il cinema italiano e quello americano.
Dove quando
C’era una volta Sergio Leone, Roma, Ara Pacis. La mostra in origine doveva durare fino al 3 maggio. A causa delle chiusure straordinarie imposte dal Coronavirus, chiediamo di consultare il sito: arapacis.it
I miti di quel mito di Sergio Leone
Anche se la mostra all’Ara Pacis di Roma è ormai off limits, può essere una buona occasione per recuperare i film di Leone
/ 23.03.2020
di Blanche Greco
di Blanche Greco