Bibliografia
Antonio Zoppetti, L’etichettario. Dizionario di alternative italiane a 1800 parole inglesi, Firenze, Franco Cesati Editore, 2018.


I belli o gli impossibili

Un repertorio di parole e locuzioni inglesi e le loro prospettive in un originale libro di Antonio Zoppetti
/ 07.01.2019
di Stefano Vassere

Nell’affollata quanto qua e là un po’ leggera e scientificamente malsicura prospettiva degli studi dedicati alla prepotenza dell’inglese sull’italiano, Antonio Zoppetti si segnala da qualche tempo per approcci originali e improntati a una sacrosanta aria di novità. Giusto un anno fa, per esempio, il suo Diciamolo in italiano. Gli abusi dell’inglese nel lessico dell’Italia e incolla portava parecchi temi che sarebbe opportuno frequentare per rinfrescare un po’ il settore: la concezione dell’inglese come moderno latinorum, che svela una tentazione tutta italiana della ricerca di una lingua alternativa per la propria promozione socioculturale; l’indagine contrastiva sul costume e gli atteggiamenti verso l’inglese messi in pratica dalle altre grandi lingue di cultura e di tradizione; gli pseudoanglicismi intesi come semplici ibridazioni periferiche del sociolinguisticamente vastissimo mondo dell’anglofonia; la promozione militante dell’italiano sulla scorta dei suoi poteri morbidi, dolcezza, sex appeal, affetti, passioni.

Per contro, questo nuovo L’etichettario. Dizionario di alternative italiane a 1800 parole inglesi ha certamente la forza e i vantaggi della rassegna, del repertorio alfabetico; e concede l’opportunità della categorizzazione e la derivante lettura chiara di tendenze. Definire scatoline dove inserire gli anglicismi in italiano è, nella massa, più facile, e aiuta anche a capire il fenomeno, dandogli ordine e poi descrivendolo in modo parlante.

Gli anglicismi possono essere prima di tutto belli: acquascooter, per esempio, è simpatico (oltre che inesistente in inglese), perché non è proprio una «moto d’acqua», è più uno scooter appunto, che non si guida a cavalcioni ma a gambe strette; e lo scooter è la più italianamente gentile delle moto. Poi, i termini inglesi possono essere anche impossibili (da tradurre): «cuscino salvavita» per airbag non va bene; così come baby-sitter difficilmente diventa «bambinaia» o «governante». L’essenza più o meno c’è, cambia il colore semantico-lessicale; o, se proprio la vogliamo dire come i tecnici, c’è la denotazione ma manca la connotazione: bambinaia dà l’idea di serialità (una che ne cura molti, che ne tiene in braccio uno di qua e uno di là con aria stanca), la governante è il più delle volte percepita come una befana.

Non c’è una traduzione per tutto, però per alcuni anglicismi ci sarebbero soluzioni italianamente illuminanti e non si capisce perché la comunità dei parlanti ancora non ci abbia pensato. Zoppetti ne ha alcune geniali: bad girl, tra gli altri, potrebbe diventare «ragazzaccia», ma anche «malafemmina», bello e mediterraneo. Qui, all’essenza lessicale, al nucleo comune di significato, l’italiano aggiunge il proprio odore e torna ad azzardare una sua supremazia linguistica e socioculturale.

Infine, questo libro ha la seduzione di una evidente fantasia, che si esprime in una grafica libera e ardita, piena di ironia e disegno. Frecce, rinvii, appunti tratteggiati a mano, riquadri: ogni pagina è come una tavola e andando a vedere nel colophon si scopre che questo mondo è parte di un progetto di creazione di libri che si chiama elinor marianne, come le due sorelle di Ragione e sentimento. «Elinor e marianne» è, ci dice il sito web, un laboratorio grafico femminile, «dedicato alle lettrici appassionate, alle accumulatrici seriali di libri».

Scoperto questo, chiusa la serie dell’Etichettario, una specie di sospetto rimane un po’ lì e se ne va a fatica: non sarà un errore combattere l’inglese dilagante con i decreti e le prove di forza, contrapponendovi l’italiano e la sua spendibilità come se fosse una specie di merce di scambio? Non sarà forse una forza gentile, come le femmine di Jane Austen, parenti dell’intelligenza ma anche dell’emotività, a darci una mano, a farci «dire in italiano»? In fondo, nei secoli e per secoli, con la musica, le belle arti, le lettere, è stato così. No?