C’è un protagonista davvero speciale nel concerto che l’Orchestra della Svizzera Italiana proporrà il 28 marzo; non è il «solito» direttore (qui Markus Poschner) e neppure il non certo più desueto violoncellista (qui Maximilian Hornung), ma il metronomo. Già, proprio quello strumento che col suo ticchettio aiuta da due secoli i musicisti a suonare a tempo, scandendo dai 40 ai 208 colpi al minuto. Uno strumento certamente utile in fase di studio, ma decisamente antimusicale in fase di esecuzione: chi non inorridirebbe se un’orchestra o un pianista suonassero accompagnati dal ticchettio di un metronomo? Senza considerare che la musica stessa impone rallentandi, accelerandi, esitazioni e «rubati» che l’inflessibile incedere del metronomo non tollererebbe.
Eppure proprio per 100 metronomi il compositore ungherese Gyorgy Ligeti elaborò nel 1962 un Poema sinfonico dove prescrisse che dieci musicisti azionassero dieci metronomi ciascuno, caricandoli (il meccanismo è lo stesso di certe bambole da caricare a molla) in modo completo o parziale e impostandoli su velocità differenti, col risultato di creare un alone di ritmi che si intrecciano, aumentando progressivamente per poi spegnersi in modo altrettanto graduale, fino a che non rimanga il ticchettio di un solo metronomo.
Ticchettio che ricompare, evocato dagli strumenti dell’orchestra, nel secondo movimento dell’ottava Sinfonia di Beethoven: scritta nel 1812 ed eseguita a Vienna due anni dopo, fu l’omaggio del genio tedesco a Johann Nepomuk Mälzel, studioso di problemi acustici che nel 1816 avrebbe brevettato il metronomo (pur non essendone l’inventore) e che aveva promesso al musicista un apparecchio contro la sua sordità.
Il solista più «classico», atteso nella Sinfonia Concertante di Prokof’ev, sarà Maximilian Hornung, violoncellista tedesco nato 33 anni fa ad Augusta. Nel mezzo della sua vita, cioè a 16 anni, fece la scelta decisiva: «Non mi piaceva la scuola, non mi piaceva studiare nulla che non fosse musica, così esternai ai miei genitori la volontà di abbandonare le superiori. Ovviamente non la presero bene, soprattutto mamma, che insegna proprio al liceo; invece papà, che pur non condivideva, è violinista e suona nell’orchestra della nostra città, quindi si convinse più rapidamente».Fu una decisione felice: il talento già si vedeva e non tardò a emergere prepotentemente. A soli 19 anni Hornung vinse il concorso nazionale di musica, a 23 (giovanissimo per tale ruolo) divenne primo violoncello solista dei Bayerisches Rundfunks, una delle migliori orchestre al mondo.
«Il primo anno fu bellissimo. Jansons è un direttore fantastico, a ogni concerto scoprivo nel migliore dei modi possibili un repertorio nuovo, suonare a fianco di grandi musicisti era un’esperienza appagante. Però, quando dopo quattro stagioni mi ritrovai a suonare per la decima volta la quinta Sinfonia di Beethoven, quando per quattro stagioni mi ritrovavo a dover suonare da mattina a sera non come avrei voluto ma come un altro mi diceva di fare, iniziai a provare una certa insofferenza. Fu allora che decisi di tentare la carriera solistica».
Quasi inutile dire che anche la sua nuova strada artistica è stata percorsa con rapidità fulminante e oggi Hornung solista è ospite abituale anche in America. L’esperienza tra le file di un’orchestra è stata comunque molto formativa: «Ho bene in mente come dai nostri leggii vedevamo il solista, ne analizzavamo l’atteggiamento e il portamento prima ancora che il modo di suonare, soprattutto se era giovane; quando mi trovo davanti a un’orchestra cerco di far tesoro di quei ricordi. E mi ha reso più facile anche l’intesa con i direttori; su questo sono stato fortunato perché a Monaco suonavano con alcuni dei migliori, oltre a Jansons penso a Bernard Haitink: sembra che non faccia nulla sul podio eppure con lui tutto funziona meravigliosamente e il risultato musicale è strepitoso, con altri che si sbracciavano come dei dannati non succedeva niente».