Prima di accedere alle sale i visitatori sono invitati a entrare in una piccola anticamera dalle pareti scure in cui è esposto il testo La missione dell’artista, presentato alla Società delle belle arti di Friburgo nel 1897, in cui Hodler enuncia i principi della sua teoria del «parallelismo»; accanto, è affisso il dipinto di un paesaggio di scuola francese. Una sala che suona come una dichiarazione d’intenti delle curatrici, Laurence Madeline e Nina Zimmer, direttrice dei musei bernesi, che con questa esposizione visibile fino al 19 agosto a Ginevra e successivamente al Kunstmuseum di Berna hanno voluto approfondire e indagare le modalità del linguaggio pittorico di Hodler attraverso le regole che lo stesso artista, bernese di nascita e ginevrino d’adozione, si era dato.
Nelle intenzioni del pittore, nato a Berna nel 1853, il parallelismo costituiva una chiave di lettura di tutta la sua produzione, passata e futura. «A poco a poco, dopo aver studiato e osservato per anni, sono arrivato al mio stile attuale: forme chiare, rappresentazione semplicissima, ripetizione del motivo», scriveva Hodler che, tanto nei paesaggi quanto nella figura umana, cercava di individuare strutture quali forme geometriche, linee parallele e ripetizione di motivi, che potessero confermare l’esistenza di un principio universale; un volontarismo formale a più riprese criticato, anche da colleghi pittori coevi.
La mostra allestita nelle sale del Musée Rath – le stesse dove quasi 150 anni fa un giovane Hodler era stato notato dal pittore ginevrino Barthélemy Menn che diventerà suo maestro e al quale, – (parole di Hodler) «deve tutto» –, è un invito a seguire il ritmo delle sue composizioni, a entrare nel cuore stesso del processo creativo di questo padre della pittura svizzera, che ha dovuto combattere per affermarsi in vita e che dopo la sua morte è caduto in un lungo oblio; dimenticato da critica, galleristi e musei, la figura di Hodler sarà rivalutata soltanto a partire dal secondo Dopoguerra. Negli ultimi anni il suo ruolo di pittore europeo e di pioniere all’interno dei movimenti di avanguardia è stato sottolineato da numerose mostre che gli sono state consacrate all’estero, da Parigi a New York, da Tokyo a Vienna. Un rilancio che grazie anche alla pubblicazione dei suoi scritti e del catalogo ragionato forniscono nuovi strumenti ai ricercatori per restituire la complessità di questo artista, confinato spesso in determinati ruoli: il pittore di paesaggi alpini, il pittore di guerra e di episodi fondanti della storia e dell’identità svizzera, quali il Boscaiolo, la Battaglia di Morat e la Ritirata di Marignano, due affreschi realizzati per il Museo nazionale svizzero di Zurigo. Ma anche in questo genere pittorico Hodler si dimostra innovativo e provocatore: indifferente ai dettagli descrittivi, all’aspetto storico-documentario o alla resa del sentimento eroico, il pittore si concentra invece sull’aspetto decorativo e pittorico e sulla composizione. Scelta che gli vale l’ammirazione di Klimt e alcune commesse in Germania come le decorazioni per l’università di Iena e il municipio di Hannover (Unanimità), i cui studi preparatori sono visibili a Ginevra.
L’Hodler che emerge dall’esposizione ginevrina è prima di tutto un pittore dell’universale, interessato all’architettura dei suoi dipinti, ai valori che accomunano gli uomini e gli elementi del mondo naturale, e in questo senso simbolista; basti osservare le figure monumentali di opere quali L’infinito e la Verità, sospese in una dimensione atemporale, secondo una simmetria armonica, oppure i paesaggi che perdono progressivamente la loro connotazione realista per trasformarsi in luoghi dello spirito; le montagne sono apparizioni che emergono da coltri di nebbia e cornici di nuvole. Il percorso espositivo dimostra che Hodler, nato pittore paesaggista, errante fra sentieri e foreste, nelle vedute alpine trova rapidamente conferma di una grandiosa uniformità delle parti e procede a una minuziosa ricerca dell’essenziale. La serie di vedute dei laghi di Thun e del Lemano attestano questo processo di rarefazione formale che sfocia negli ultimi lavori in esiti quasi astratti.
Pittore svizzero, per stile e per soggetti, ma anche pittore europeo: nel 1891 Hodler ha già conquistato Parigi con La notte (opera che lascia raramente le sale del Kunstmuseum di Berna), il grande dipinto che aveva fatto scandalo al Salone municipale di Ginevra e che segna la svolta simbolista del suo linguaggio artistico. Corpi nudi di donne e uomini distesi, fra questi è riconoscibile anche un autoritratto dell’artista, e sui quali incombe una sagoma nera dalle proporzioni non umane. La monumentalità dei corpi, la composizione che gioca fra le forze opposte di verticalità e orizzontalità, il mistero al quale contribuisce la particolare luce che pervade il quadro: si comprende perché abbia attirato l’attenzione dei simbolisti parigini, come il tanto ammirato Puvis de Chavanne o Gustave Moreau. La consacrazione internazionale definitiva avverrà nel 1904, quando Gustav Klimt lo invita a esporre alla Secessione di Vienna, dove presenta trentuno dipinti. In Svizzera il riconoscimento arriverà con la grande retrospettiva allestita al Kunsthaus nel 1917.
Ferdinand Hodler è un pittore che divide pubblico e critica, venerato, ma anche criticato; fin da giovane compie la scelta consapevole di non seguire i gusti e le aspettative del pubblico elvetico e di seguire la sua strada, cercando di affermarsi all’estero; nell’autoritratto del 1881 dal titolo Le furieux si volta a guardare i suoi spettatori con uno sguardo collerico. Soltanto negli ultimi anni di vita Hodler è l’artista affermato, il cittadino borghese che trasloca in un elegante appartamento sul quai du Mont-Blanc a Ginevra, e che in qualità di presidente della Società dei pittori, scultori e architetti svizzeri esercita una certa influenza sulla vita culturale e artistica nazionale.
Ma le sale del Musée Rath privilegiano la dimensione intima del pittore, i motivi intrinseci della sua pittura; lo dimostra la sala dei confronti che gioca sulla continuità formale fra dipinti apparentemente lontani. Il corpo dell’amante morente Valentine Godé-Darel (agonia che fa l’oggetto di una celebre serie di dipinti e disegni, visibili in parte anche nella bella mostra allestita al Kunstmuseum di Winterthur su Hodler e Giacometti) viene accostato a un profilo di vette alpine, il viso maturo del pittore a un torrente di montagna disseminato di pietre e alla sagoma di una montagna: un esercizio non inedito, ma suggestivo. Così come suggestivo è il sistema di illuminazione che nelle sale ha previsto grandi lampadari che modificano l’intensità della luce; un espediente per dare la sensazione ai visitatori di vagabondare insieme al pittore en plein air, inserendo così una variabile ulteriore al nostro sguardo.