L’avevo promesso. A volte si fanno promesse con leggerezza, con l’impulso del momento, salvo poi ripensarci, immediatamente. Non hai ancora finito di dirlo e già te ne sei pentito. E invece l’hai detto. E il cenno con la testa del caporedattore vale come il gong alla fine dell’incontro di pugilato.
Adesso sono qui, a girare il cucchiaino nella tazza del caffè e a capire come togliermi dall’impiccio. Perché se devo dire la verità a me del Natale non è che me ne sia mai fregato molto. Se ci penso sono uno di quelli che non ha mai sopportato bene quei tre giorni di prigionia «Vigilia-Natale-Santo Stefano», quasi un po’ arresti domiciliari, blindati dai rituali delle feste.
Finché eravamo piccoli, ancora ancora. Capitava spesso che nevicasse (in realtà non so se è vero o se è un ricordo costruito) e quindi spesso avevamo il pretesto per uscire di casa con le slitte, per stare fuori con cugini e amici, mentre a casa i grandi si bombavano di cibo.
Di Babbo Natale poi ne facevo volentieri a meno. Anzi, per essere sincero mi ha sempre fatto un po’ paura. Adesso c’è la mania dei clown spaventosi... se fosse per me come protagonista di It ci avrei messo un Babbo Natale. E poi non è nemmeno vero. Mi ispira solo soggezione. C’è quella vecchia foto in cui io e i miei cugini ci mettiamo in posa davanti a un Babbo Natale nella hall del centro commerciale. Io sono quello che ha la faccia di quando ti stanno facendo la vaccinazione nel braccio. Fastidio-sofferenza-necessità.
Eppure adesso sono qui a cercare di capire come posso mantenere la promessa. Mi è venuta per disperazione, l’idea dell’intervista a Babbo Natale. Sotto le feste non si sa mai come fare per riempire le pagine. La redazione è sguarnita, tutti ne approfittano per recuperare gli straordinari. Chi rimane deve correre per tutti, ma anche farsi venire delle idee perché, maledizione, il Natale è proprio il momento in cui la gente legge di più i giornali. È a casa tranquilla, si mette in poltrona davanti al caminetto (... al quarto piano di un condominio in un quartiere del centro, sarà difficile...) beh, comunque, ha più tempo per leggere e, accidenti, legge.
Ora comunque devo darmi una mossa. Prima cosa, uscire dal bar e dare un’occhiata in giro. Ah, guarda, c’è il mercatino di Natale. Le bancarelle. Faccio un giro per il centro città ma non è che sia molto convinto. La soluzione più semplice sarebbe quella di beccare qualcuno vestito da Babbo Natale e fargli un paio di domande. Due o tre banalità del tipo «Cos’è il Natale per lei?» o «Fa caldo dentro quel costume?» e poi la mettiamo via con qualche dettaglio d’ambiente, un accenno alle luci della città e ai sorrisi dei bambini felici.
Dentro al costume di Babbo Natale succedono cose strane. Forse per quello mi è venuta la curiosità. Visti in borghese, i Babbi Natali che ho conosciuto erano sempre personaggi strani. Come il Luigi: faceva lo spazzino comunale e a Natale era sempre pronto alla sua corvée. Le tappe obbligate: asilo, scuole elementari, casa per anziani, festa di Natale della Bocciofila. Un anno era riuscito persino ad arrivare con un asinello, preso chissà dove. Ma di solito riusciva semplicemente a trasformare il carrello da netturbino, togliendo i secchi e ricoprendolo di carta colorata. Lui era uno di poche parole, ma mentre girava per il paese, dietro la barba finta, gli si intravvedeva un sorriso sornione, quasi stesse interpretando il ruolo di tutta la vita. La mano guantata di bianco si muoveva con una grazia vescovile, accarezzava i bambini, si poggiava sulle spalle degli anziani, suscitava benevolenza e affetto. Difficile immaginare che quella stessa mano nei giorni normali pilotasse la ramazza di saggina, svuotasse i cestini dell’immondizia. Tutti sapevamo del travestimento, ma anche per noi era sempre una sorpresa vedere come Luigi in quei panni rossi si trasformasse. Gli volevamo quasi bene, dimenticando l’odio e le parole che gli lanciavamo contro tutte le volte che ci requisiva il pallone perché lo facevamo finire sulla terrazza del Municipio.
Oppure Giancarlo, che era un maestro di quelli estrosi e compagnoni, e che a Natale metteva tutto il suo spirito teatrale e trasgressivo dentro al costume rosso. Lui veniva chiamato dagli istituti della zona, quelli dove c’erano i ragazzi andicappati, dai foyer. Forse la sua preparazione educativa faceva pensare che fosse più adatto a quei ruoli, ma in realtà era esattamente il contrario. Era un Babbo Natale di quelli imprevedibili, capace di baciare sulla bocca le suore degli istituti, di sedersi per terra in mezzo alla palestra, di tracannare grandi bicchieri di vin brulé, squassando l’aria con i suoi «Buon Natale!» roboanti. Il suo sogno era arrivare un giorno calandosi da un elicottero, oppure lanciarsi con il paracadute, lui, il sacco, il vestito rosso e i regali. Era tanto simpatico che gli si perdonava facilmente la vena goliardica e, soprattutto, i ragazzi erano veramente contenti. A me un Babbo Natale di quel tipo, devo dire la verità, non dispiaceva.
Mentre penso come sarebbe semplice buttar giù un pezzo su questi due Babbi che ho conosciuto mi rendo conto che, comunque, 10’000 battute da scrivere non sono uno scherzo. E oltretutto, qui in questo mercatino, di dettagli d’ambiente, bambini felici eccetera, non è che se ne vedano tanti. Fa un freddo tremendo, aria umida, è quasi ora di cena. Più che altro gente col passo svelto e senza troppo tempo da perdere. Arrivo fino in fondo alla strada, fino all’ultima bancarella. Per combinazione, nemmeno a farlo apposta, c’è un Babbo Natale che sta cominciando il suo giro.
Arrivo mentre sta infilando i guanti. Non è molto alto ma ben imbottito, bello cicciotto: sul viso una barba e una capigliatura molto fitte impediscono di vedere il suo vero viso: ha gli occhi brillanti, però. Ridenti, direi. Bene, è l’occasione buona. Lo abbordo e gli spiego la situazione: sono un giornalista e vorrei realizzare un’intervista a Babbo Natale. Posso? Mi guarda con gli occhi che ridono ancora di più e fa cenno di no con la testa. Esagera un po’ nei movimenti, fa finta di essere un vecchio, si capisce, ma il no è inequivocabile. Ecco, sono fregato. Posso almeno accompagnarla nel giro, chiedo, raccogliendo un’intuizione disperata? Ha dietro di sé un carrettino di legno di quelli di una volta, pieni di sacchetti incellofanati con spagnolette, cioccolatini e mandarini. Ci pensa un momento e mi indica con la mano il timone del carretto.
Preso dalla disperazione capisco al volo: eccomi trasformato in aiutante di Babbo Natale. Forse un articolo salta fuori lo stesso. «Ho accompagnato Babbo Natale» suona abbastanza bene, quasi quanto «Intervista a Babbo Natale», in fondo. Mi accodo all’uomo rosso e insieme ripercorriamo la via del mercatino. E qui occorre dire che subito succede qualcosa di inatteso. I bambini ci sono, eccome. Sembrano materializzarsi di tra le bancarelle, vengono fuori dai vicoli e si assembrano di fronte e intorno al mio Babbo Natale. Lui si volta verso di me mi fa cenno di iniziare a regalare i pacchetti, mentre distribuisce carezze e sorrisi ai piccoli, con una dolcezza e una gentilezza signorile ma affettuosa. Io mi trovo immediatamente assediato dai piccoli vocianti. I genitori intorno sorridono e scattano fotografie con lo smartphone. Cerco di difendere i pacchetti, che rischiano il saccheggio immediato, e nello stesso tempo sono preoccupato. Le foto finiranno subito su qualche social e tra poco sarò finito: qualcuno mi riconoscerà e comincerà la serie delle prese in giro. Ma non ho tempo per pensarci, perché Babbo Natale si rimette in cammino. Dovrei seguirlo con il carretto: è una parola, con tutti i bambini intorno che non si spostano, intralciano.
Insomma si crea questa curiosa scenetta di un Babbo Natale cicciotto e simpatico che si avvia tra le bancarelle, seguito da un impacciato aiutante che difende come può un carretto pieno di doni assediato da un’orda di bambini urlanti. In fondo mi sto divertendo, non è il caso di brontolare. Per una volta mi sento davvero coinvolto nello spirito natalizio e i bambini contribuiscono a darmi mille spunti di divertimento e di allegria. Babbo Natale mi volta le spalle e prosegue. Non parla, non dice niente a nessuno ma sprizza bonarietà e simpatia. La gente, anche gli adulti e gli anziani, si fermano a stringergli la mano, anche i proprietari delle bancarelle vengono in mezzo alla strada per salutarlo. E così la nostra sfilata in mezz’ora attraversa il centro storico della città fino all’altro capo della via principale.
Le bancarelle finiscono, anche le luci di Natale sono meno invadenti. I bambini poi sono rimasti indietro: così come si sono materializzati ora spariscono. Rimaniamo io e Babbo Natale, quasi soli, in una strada del centro città, con un carretto vuoto e altre persone che ci passano vicino frettolosamente, ignorandoci. Beh, è stata comunque una bella esperienza. Faccio un segno con la mano a Babbo: il carretto è vuoto. Mi accorgo che mi comporto con lui come fosse sordomuto. Non avendo sentito la sua voce mi viene da fare così. Ma Babbo adesso si guarda in giro e mi fa segno col dito: vieni qui... seguimi... Mi conduce in un vicolo scuro lì vicino, si volta verso di me, mette una mano dietro al suo grande cappello, fruga tra i lunghi capelli bianchi e si toglie la maschera. Sul collo del vestito rosso ora spicca il viso di una bella ragazza con i capelli lisci e lunghi, e con un sorriso molto molto divertito.
Rimango esterrefatto: Ma... «Erano anni che desideravo fare una cosa del genere» dice. «Quest’anno ho preparato la scena con cura. Grazie per avermi aiutato. Non avevo considerato che mi servisse un aiutante. È una bella sensazione stare dentro quel vestito. Sembra di vedere il mondo da un prospettiva diversa. Più ottimista, più allegra, ma anche più seria e in qualche modo sacra. È come farsi attraversare da uno spirito di benevolenza che si diffonde sul mondo e specialmente sui bambini, che sono la speranza del mondo. Sono sempre stata curiosa: “cosa si prova a fare il Babbo Natale?”. Quest’anno ho provato. Sono davvero contenta. Va bene come intervista?»
La ragazza mi porge la mano, ancora guantata di bianco, si avvia per il vicolo e sparisce dopo un attimo. Io rimango lì, a sentire l’eco delle ruote del suo carretto smorzarsi nel silenzio. Ho incontrato lo spirito del Natale, forse per la prima volta nella mia vita. Ma non è come me l’aspettavo. Mi ha persino rilasciato un’intervista. Adesso come faccio a scriverla?Illustrazione di Lucia Pigliapochi