Dove e quando
Piedad y terror en Picasso. El camino a Guernica. Museo Reina Sofia, Edificio Sabatini, Madrid. A cura di Timothy James Clark e Anne M. Wagner. Fino al 4 settembre. Chiuso martedì. Catalogo 35 euro. www.museoreinasofia.es.


Guernica, 80 anni fa

Un’analisi sul capolavoro di Picasso a Madrid
/ 24.04.2017
di Gianluigi Bellei

Spagna. Paesi Baschi; Guernica, 26 aprile 1937. Lunedì: giorno di mercato. Gli abitanti del paese sono tutti per le strade e queste sono affollate di donne e bambini. Sono da sempre gente orgogliosa, libertaria; in quel periodo quasi tutti gli uomini sono al fronte per combattere contro il generalissimo Franco. Fa caldo, è un giorno particolarmente soleggiato. Pomeriggio. Improvvisamente arrivano echi di strani rumori, prima deboli e lontani, poi via via sempre più forti. Un rombo di motori fastidioso, inquietante. Ore 16 e 30, il cielo si fa scuro. Sopra la testa volano dei bombardieri Junkers ed Heinkel e aerei da combattimento, sempre Heinkel, della Luftwaffe germanica. Iniziano a cadere bombe da 1000 libbre. Per tre ore e un quarto gli aerei bombardano la cittadina, mentre quelli da combattimento mitragliano le persone che cercano di scappare verso i campi. La città è rasa al suolo.

Come in tutte le storie, naturalmente, la realtà fatica a risultare univoca. Alcuni sostengono che il bombardamento non ci sia stato; altri che i dati, e soprattutto il numero dei morti, siano da ridimensionare drasticamente. Il mercato non c’era, e via discorrendo. Quello che qui interessa però è che allora questo avvenimento ebbe un’eco internazionale suscitando sdegno e terrore per quello che il fascismo e il nazismo erano in grado di fare. 

Ma facciamo un passo indietro. Nel gennaio dello stesso anno il governo spagnolo in esilio commissiona a Pablo Picasso un dipinto che rappresenti la Spagna all’Esposizione internazionale di Parigi che si inaugura il 25 maggio. Picasso ha 54 anni e vive proprio a Parigi. I bombardamenti di Guernica hanno su di lui un effetto dirompente. Decide di dedicare il dipinto alle sue vittime innocenti. 

Picasso è un artista impegnato politicamente. In una conversazione del 1945 con Simone Téry, apparsa poi su Lettres Françaises, alla domanda su cosa crede che sia un artista, risponde: «Credete che sia un imbecille che ha solo gli occhi, se è un pittore, le orecchie se è un musicista, e una lira a tutti i piani del cuore se è un poeta, oppure se è un pugile solamente i muscoli? No, egli è anche un uomo politico, costantemente sveglio davanti ai laceranti, ardenti o dolci avvenimenti del mondo, e che si modella totalmente a loro immagine. Come sarebbe possibile disinteressarsi degli altri uomini e, in virtù di quale eburnea indifferenza, staccarsi da una vita che essi vi apportano così copiosamente? No, la pittura non è fatta per decorare appartamenti. È lo strumento di una guerra offensiva e difensiva contro il nemico». 

Il 1. maggio 1937 realizza lo schizzo iniziale per il dipinto che termina dopo neanche un mese di incessante lavoro. 

Il Museo Reina Sofia di Madrid, che possiede l’opera, organizza in occasione di questo anniversario una mostra studio che presenta tutti i disegni preparatori unitamente a diversi lavori degli anni precedenti e seguenti la sua realizzazione. 180 opere provenienti da 30 musei internazionali come il Musée Picasso e il Centre Pompidou di Parigi, la Tate Modern di Londra, il MoMA e il Metropolitan Museum di New York, la Fondazione Beyeler di Basilea o la collezione privata di Claude Ruiz-Picasso. 

Gli innumerevoli disegni preparatori dimostrano che Picasso ha sin dall’inizio una visione completa del lavoro che con il passare dei giorni si modifica e si adatta in ogni particolare ai singoli cambiamenti. Appare subito chiaro che non può mettere in scena il dramma di tutti i diecimila abitanti. Ha quindi condensato gli avvenimenti in poche figure. Nove, al termine dei lavori. Quattro donne, un bambino, la statua di un guerriero, un toro, un cavallo, un uccello. Non sono presenti né il nemico, né gli aerei. Il primo veloce schizzo mostra l’impostazione generale: un toro a destra, un cavallo in centro, un figura distesa in primo piano e una donna a sinistra che illumina la scena. All’inizio le figure non si sovrappongono. Nel terzo disegno il toro scompare. Nel quinto il cavallo girato verso destra si contorce piegando le zampe. Dopo una settimana i gruppi di figure sono tre, separati fra loro. Seguono singoli disegni che si concentrano su un solo soggetto: il toro, il volto della donna, il guerriero caduto. Picasso è un uomo meticoloso. Ogni disegno è numerato e datato. 

Del lavoro complessivo si hanno 28 fotografie, scattate da Dora Maar, che raccontano l’intricato sviluppo della gestazione. Nel primo stadio il toro copre circa metà del dipinto. Il guerriero morente ha la testa rivolta all’insù con un braccio sollevato in alto e il pugno chiuso. Nel secondo stadio il pugno del guerriero viene staccato dal corpo. Nel terzo il corpo del guerriero è girato dall’altra parte con la testa rivolta verso il basso. Il braccio viene tolto. Poi il cavallo che aveva la testa piegata verso il basso la sposta in alto in segno di dolore. Si delineano tutte le altre figure e alla fine il corpo del guerriero viene girato verso l’alto e la sua testa staccata dal corpo. Non raccontiamo tutti i cambiamenti delle singole figure che alla fine si incastrano fra loro in maniera non totalmente distinguibile. Resta l’impianto generale che vede il dipinto svilupparsi in un movimento da destra verso sinistra: l’esatto opposto dell’occhio dell’osservatore che, di solito, va da sinistra verso destra. La composizione è a forma di triangolo con in basso il guerriero, la donna, il cavallo, con per apice la lampada. Speculari il toro e il volto della donna con la lampada che illumina la scena. 

Un dipinto terribile che ancor oggi rappresenta un manifesto contro tutte le guerre. Ma anche di difficile lettura; per alcuni simbolico, per altri no. Il cavallo, con il suo grido lancinante, sicuramente è la vittima innocente e passiva delle corride e il toro per alcuni la figura che stupra l’Europa, per altri il popolo e per altri ancora «l’immagine imperturbabile della Spagna». Guernica non rappresenta la morte, il dolore, lo strazio, ma è nella morte, nel dolore, nello strazio. Il pittore, scrive Giulio Carlo Argan, non assiste al fatto, «ma è dentro il fatto». Un dipinto classico con simmetria e prospettiva, all’interno di un ribaltamento delle forme che rivoluziona il concetto stesso di estetica. 

Se pensate, però, che le figure siano irrealistiche dovete guardare le immagini fotografiche di Peter Zimmermann sui mutilati della guerra civile spagnola – provenienti dall’archivio personale di Picasso, piene di mani deformate, braccia tagliate e corpi mutilati o quelle delle Ediciones 5° Regimiento, altrettanto esplicite – per ricredervi.

La mostra, che ha come epicentro Guernica, si snoda attraverso una serie di sale tematiche concentrate sul concetto di bellezza, mostruosità e terrore come nelle Trois danseuses del 1925; sino alle ultime che illustrano le opere degli anni Quaranta sulla sofferenza e la morte, come nella Femme se coiffant del 1940, quando le truppe di Hitler entrano a Parigi.

Per chi non avesse mai visto Guernica questa è l’occasione buona; per gli altri la possibilità di entrare nella genesi del processo creativo grazie a un’imperdibile esposizione molto visitata soprattutto dai giovani. Ottimi l’allestimento e le luci.

Durante il viaggio verso Madrid potete documentarvi con il volume di Rudolf Arnheim Guernica. Forse un po’ datato, ma utilissimo.