Gli dèi dell’antica Grecia e successivamente di Roma sono molto simpatici. Ne combinano di tutti i colori. A differenza di Jahvè e del suo figliolo (?) che sembrano e sono dei noiosoni terribili. Il cristianesimo, l’ebraismo e l’islamismo sono religioni monoteiste e si basano su dei testi sacri ispirati da dio. Si parla quindi di religione del libro. Quelle politeiste, al contrario, non hanno dogmi, né libri, ma credenze trasmesse oralmente. Oggi molti ritengono che Jahvè esista e Zeus no. Ma duemila anni fa i Greci e i Romani non erano dello stesso avviso e gli dèi assomigliavano parecchio agli umani. Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) nella sua Antiquitates rerum humanarum et divinarum ordina gli dèi in tre parti: i certi, quelli capaci di rivelare la verità; gli incerti, con un campo d’azione più vasto e i selecti ovvero gli eletti. Questi ultimi sono dodici maschi e otto femmine tra i quali troviamo Giunone, Diana, Venere, Mercurio ecc. Gli dèi Romani sono lo specchio del potere. Ovidio (43 a.C.-17 d.C.) nelle Metamorfosi racconta che Giove per prendere una decisione riunisce le divinità in un concilium. Tutti si incamminano sulla via lattea. All’inizio della strada si trovano i palazzi dei nobili, in fondo le case dei plebei. Giove, scrive Micol Perfigli, è l’imperatore Augusto che abita al Palatino e la via lattea è il Sacer Clivus che porta alla sua abitazione. Il concilio divino sembra poi l’assemblea del senato. Il mondo divino non è nient’altro che il doppio di quello umano e gli dèi hanno l’incarico, o la responsabilità, di intervenire in frangenti e situazioni che possono essere difficilmente risolvibili o semplicemente quotidiane aiutando gli uomini nei loro compiti. Dalla nascita alla morte. Per questo sono così tanti, ognuno con le proprie competenze le quali però possono essere diversificate. Plutarco (46-120? d.C.) scrive che sostenere che Afrodite sia unicamente l’istinto sessuale, Ermes l’eloquenza o Atena la saggezza sia una «forma di empietà».
Chi vuole scoprire l’origine del mondo deve leggere la Teogonia (116-122 d.C.) di Esiodo. Una storia incredibile, che assomiglia alla Genesi cristiana, fra Chaos, Gaia ed Eros. Poi notte, giorno, monti, mare. Infine Zeus ottiene il governo del mondo…
Dicevamo che questi dèi sono simpatici. Zeus, il Giove romano, per esempio, oltre a interessarsi dei massimi sistemi è particolarmente attratto dalle donne. Jahvè, al contrario e nel frattempo, si limita a osservare dall’alto i suoi figli che si scannano e muoiono di fame. Zeus è sposato con Era dalla quale ha Ares, Ebe e Ilizia. Contemporaneamente se la spassa con Themis che partorisce le Mirai e le Horai. Con Eurinome dalla quale nascono le Cariti; con Demetra figlia Persefone; con Mnemosyne che genera da lui le nove Muse; con Letò concepisce Apollo e Artemide. Ma Zeus è un furbacchione e per concupire le femmine riesce anche a trasformarsi. Con Danae in pioggia, con Leda in cigno, con Europa in toro, con Ganimede (un ragazzo, ma sembra il più bello di tutti i mortali) in un rapace.
Quest’anno ricorre il bicentenario della morte di Publio Ovidio Nasone, anche se alcuni sostengono che sia deceduto all’inizio del 18 d.C. Intellettuale augusteo, elegante, ironico, trasgressivo, Ovidio è autore delle Metamorfosi. Opera in 15 libri senza un protagonista in carne e ossa ma come protagonista un concetto astratto: la trasformazione. Per fare questo si avvale del mito che, come scrive Claudia Cieri Via, «dà un’interpretazione assoluta della realtà ed è espressione simbolica di verità di ordine naturale o morale». E che in fondo «enuncia il rapporto fra dimensione mitica e dimensione storica, fra favola, storia e conoscenza». Opera epica che ha ispirato letterati e artisti di tutti i secoli. In pochi si sono accorti della ricorrenza. Peccato, perché poteva essere l’occasione di una grandiosa esposizione dei capolavori dell’arte con opere di Rembrandt o Tiziano, Correggio o van Dyck, Watteau o i Carracci, Rubens o Raffaello, Botticelli o Caravaggio, Bernini o Tintoretto… Sì, perché quasi tutti i grandi dell’arte hanno dipinto le sue storie.
Il Museo archeologico nazionale di Napoli dedica un’esposizione al mito greco e a quello romano con 80 opere, la maggior parte provenienti dal museo stesso e alcune da prestigiose istituzioni quali l’Hermitage di San Pietroburgo, il Musée du Louvre di Parigi, il Paul Getty Museum di Los Angeles e il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Un museo da vedere comunque, quello Archeologico, perché conserva una splendida copia integra del Doriforo di Policleto, il mosaico della Battaglia di Alessandro e Dario e il Toro Farnese, solo per citare alcuni pezzi. Senza tacere della stanza segreta, vietata ai minori.
La mostra è articolata in quattro sezioni: La materia del mito, Il dio muta forma, Il dio trasforma e Corpo e spirito. All’inizio troviamo i miti greci degli amori rubati, come quelle di Danae, Ganimede e Leda. Poi gli amori negati come nel caso di Dafne e Apollo, Narciso ed Eco. L’ultima sezione con ben 11 opere, si occupa della ninfa Salmace che si incapriccia del giovane Ermafrodito, figlio di Ermes e Afrodite. Mentre Ermafordito nell’acqua si libera dalle vesti, Salmace gli si avvolge addosso come una serpe «lo bacia sulla bocca restia, lo accarezza sotto il ventre» arsa dal desiderio. Lui la respinge. «Ribellati pure, o crudele, ella disse, non riuscirai tuttavia a sfuggirmi – scrive Ovidio – e tale sia la volontà vostra o dèi: nessun giorno mi stacchi costui da me, né me da costui». I corpi così si unirono uno all’altro per sempre.
Una mostra intima, succinta, senza capolavori ma che ha il pregio di sviscerare il corpo del mito e le sue forme. Si entra nelle sale indossando un paio di soprascarpe per non rovinare il prezioso pavimento a motivi geometrici della prima metà dell’Ottocento e si è accolti da un allestimento modulare con luci specifiche indirizzate sulle opere per creare un ambiente «altro» rispetto alle sale del museo. Il primo dipinto è un ovvio omaggio alle Metamorfosi con il Trionfo di Ovidio di Nicolas Poussin per proseguire con lavori quali Il ratto di Europa di Cornelius Shut, Diana e Atteone di Giovambattista Tiepolo, e terminare con le opere dedicate a Ermafrodito fra le quali il Symplegma di Satiro ed Ermafrodito: un marmo del primo secolo dopo Cristo sensualmente dionisiaco che inganna lo spettatore. Come tutte le statue anche questa va vista girandole attorno e nella complessità del movimento della bellissima donna che lotta contro il satiro, cambiando punto di vista si scopre una doppia natura; ignota pure all’assalitore.
Utile il catalogo, anche se soprattutto in questo caso era d’uopo l’indice dei nomi.