Attraverso l’ampia esposizione Art Brut du Japon, un autre regard la Collection de l’Art Brut de Lausanne torna a indagare un territorio esplorato nel 1997 col progetto Art incognito e con la mostra Japon nel 2008; nonostante Jean Dubuffet non abbia mai preso in esame il paese del Sol levante nelle sue ricerche, l’interesse dell’istituzione per la realtà nipponica è presente da tempo.
In Giappone la nozione di «art brut» appare oggi legata, soprattutto, al contesto dell’handicap e della patologia: in questi ultimi dieci anni sono andate vieppiù moltiplicandosi situazioni e attività che legittimano l’assioma – improprio e riduttivo, poiché per lo stesso Dubuffet la malattia non fu mai un parametro – art brut = arte dei disabili. Ma al di là di ciò, il fenomeno ha esiti notevoli, che non sembrano trovare corrispettivi in altri paesi.
Seguendo i saldi principi etici ed estetici che, da sempre, guidano la Collection, la direttrice Sarah Lombardi e il critico e storico dell’arte Edward M. Gómez hanno quindi voluto, con questa mostra, riunire opere provenienti da contesti e regioni diverse, al fine di rendere pubblica anche alle nostre latitudini la ricchezza espressiva di identità artistiche definite, forti e di grande impatto; e la potenza delle opere esposte conferma la validità dell’iniziativa.
Fra gli artisti in mostra, spiccano personalità quali il settantatreenne Hiroyuki Doi, il giovane hikikomori – termine che designa una persona che si isola totalmente dalla società – Hebime, Eiichi Shibata e Katsuyoshi Takenaka per l’ossessiva cura del dettaglio; alcune delle loro opere – veri e propri universi tempestati di micro-forme reiterate all’inverosimile – rammentano i lavori di Henriette Zéphir, o i grandi «mandala» di Augustin Lesage.
Vi sono poi i volti scomposti del solitario musicista Issei Nishimura: facce rivoltate come guanti e annodate i cui tratti paiono suggerire un incrocio fra le deflagrazioni di Francis Bacon e le fattezze cadaveriche dei corpi di Schiele; in queste figure torturate c’è qualcosa che riporta a un altro grande dell’art brut: l’austriaco Josef Hofer; «mi consacro ogni giorno alla pittura e al disegno», afferma Nishimura parlando del suo lavoro, «lo stesso quando respiro, mangio, defeco, dormo. La linea è un meandro, un’estensione fisica di me stesso, e il colore riflette con intensità lo splendore del mio spirito».
Che dire poi delle enigmatiche figure dell’oggi scomparso Toshirō Kuwabara: minute donnine legate con lacci e cordami, nude o seminude, a volte intente a maneggiare altri corpi o, più spesso, minacciate da esseri fantastici o maschi prevaricatori. Un universo inquietante, ma immortalato unicamente dalle tenui tinte delle matite colorate: come non pensare, qui, ai grotteschi teatri di Balthus o, meglio ancora, a quelli di suo fratello Pierre Klossowski?
Altrettanto conturbante è la raffinata produzione di Isao Monma, il quale, contrariamente a una larga parte degli artisti esposti, non risulta affetto da alcun disturbo (solitario e posato, è amministratore in un’istituzione per portatori di handicap). Guidato da una forza da lui chiamata «l’entità», armato di matite Monma forgia impressionanti disegni che paiono sorgere dalle viscere di una personale Sagrada familia: mostruose simmetrie in cui si distinguono grotteschi volti di clown, protuberanze lovecraftiane, ectoplasmi e vetrate di stupefacente bellezza.
Come sempre avviene con gli artisti dell’Art Brut, sono l’inflessibilità e il rigore – unitamente alle singole ossessioni – a lasciare il visitatore senza fiato: tratti ravvisabili anche in quelle che sono le produzioni plastiche di Kazumi Kamae e Ryūji Nomoto: creatori che con ceramica e colla calda da un singolo elemento sono in grado di far proliferare una vera e propria foresta di forme.
In attesa delle prossime iniziative del museo losannese – una sul leggendario Carlo Zinelli e l’altra sul tema del teatro – si consiglia dunque, caldamente, di prendere al volo un treno per andare a scoprire personalmente la straordinaria varietà di quanto ha prodotto il loro indomito immaginario.