Bibliografia
Leonardo Sciascia, Il metodo Maigret e altri scritti sul giallo, Milano, Adelphi, 2018.


Giallisti sul giallo

I ragionamenti teorici sul giallo di Leonardo Sciascia in una raccolta appena pubblicata
/ 30.07.2018
di Stefano Vassere

«Negli anni in cui Sciascia, tra adolescenza e giovinezza, divorava trecento gialli Mondadori, il romanzo poliziesco non godeva di buona stampa in Italia: era considerato letteratura di second’ordine, mero sottobosco rispetto alle realizzazioni della cultura alta, a cui era impossibile accostarlo».

Per carità; non che oggi il giallo, il poliziesco e il noir siano diventati ormai letteratura di prima fila. C’è però un dato vistoso e recente: non si fa fatica a trovare scrittori che si siano occupati di indagarne i tratti, con sguardo teorico e complessivo, con l’intenzione di trovarne essenze ed espressioni ricorrenti. Stephen King, P.D. James, Massimo Carlotto, James Ellroy sono i primi nomi che vengono in mente in questa ormai consolidata tradizione critica. E poi, storicamente e ovviamente, Leonardo Sciascia, del quale l’editore Adelphi pubblica ora un’edizione quasi filologica degli scritti sul giallo, disseminati un po’ qua e là e come spesso succede ormai difficilmente raggiungibili altrimenti (ce n’è anche uno pubblicato originariamente sul quotidiano «Libera Stampa», alla fine del 1958).

Al di là di qualche fastidiosa ripetizione, dovuta all’ortodossia filologica della curatela, che per esempio trascrive a pagina 30 e a pagina 72 lo stesso non breve ragionamento di Giuseppe Prezzolini, l’operazione critica è decisamente interessante. Perché permette per esempio di cogliere la trasformazione tra giallo classico e la complessa costellazione del noir proprio negli anni in cui questo processo ha luogo.

Il giallo tradizionale ha uno strumentario ben definito: la trama si sviluppa di preferenza nella campagna preferibilmente inglese e il fatto criminoso è risolto da investigatori tanto eleganti quanto distaccati, senza partecipazione morale alla vicenda: «un romanzo della ragione e della giustizia». Di Sherlock Holmes dice Leonardo Sciascia che «si batte per la giustizia e contro l’errore non per ragioni morali; la sua opera di investigazione si svolge al di là della morale, non ha carattere sentimentale né esigenza di giustizia; è puro arabesco, puro esercizio di capacità razionali e deduttive».

L’estetismo elegante dell’investigazione è poi come polverizzato da un genere che sembra imparentato con il giallo primigenio ma che forse con quest’ultimo condivide solo il crimine come spunto di partenza. Ai geniali ragionatori britannici e comunque europei ecco sostituirsi, proprio negli anni nei quali Sciascia scrive i suoi primi saggi, i poliziotti corrotti e gli investigatori privati maudit delle due coste degli Stati Uniti. Se là la soluzione dell’enigma tendeva a risolvere tutto e a pacificare l’ambiente, qui il marciume spesso le sopravvive. Se là l’ambientazione rimaneva sullo sfondo e fissa come una specie di quinta teatrale, qui il milieu è fondamentale, tanto che non si vede come si possa ambientare una di queste torbide vicende al di fuori delle vecchie e sporche capitali della corruzione e del malaffare, celebrate e consolidate da taluna cinematografia appunto americana.

Le città italiane non possono in questo senso né «fare quadro» né «fare ambiente». La difficoltà di ambientare gialli in Italia e l’impossibilità di separare il pretesto del fatto criminoso dalla descrizione di un ben preciso ambiente hanno peraltro evangelisti importanti: per Alberto Savinio il giallo italiano è «assurdo per ipotesi», è «di seconda mano», manca del «romanticismo criminalesco del giallo anglosassone»; per Vitaliano Brancati abbiamo a che fare con «libri orribilmente mediocri, a portata di tutti»; per Gabriel García Márquez «l’aneddoto è soltanto il pretesto per radiografare il microcosmo sociale».

Nella seconda parte di questo libro, che porta una serie di brevi schede sugli autori, c’è spazio per un altro ragionatore, lo svizzero Friedrich Dürrenmatt. Forse non tutti ricordano che La promessa porta un titolo in questo senso significativo: Un requiem per il giallo. E ha ragione, Sciascia, quando pone a pieno titolo il nostro Dürrenmatt tra i più attenti interessati agli stessi contenuti generali del canone.