Bibliografia
Helena Janeczek, La ragazza con la Leica
pp. 330, 18 euro
Guanda, Milano 2017


Gerda Taro, la ragazza con la Leica

La brava ma sfortunata fotografa che diede il nome d’arte a Robert Capa, morì proprio a causa di quella guerra civile spagnola contro cui si era schierata – ora la sua storia è narrata in un libro di Helena Janeczec
/ 09.04.2018
di Giovanni Medolago

Nelle scienze, è andata decisamente meglio per il gentil sesso. A Madame Curie, ad esempio, fu assegnato due volte il Premio Nobel (nel 1903 per la fisica e nel 1911 per la chimica). Nelle arti, viceversa, le cose sono andate ben diversamente: Tina Modotti, pur coraggiosa e caparbia friulana, rimase a lungo all’ombra del suo mentore Edward Weston, prima di vedersi riconosciuta con quest’ultimo tra i migliori fotografi d’inizio 900. Altrettanto sfortunata la sua amica Frida Kahlo, costretta a fare i conti col marito-padrone Diego Rivera. Adèle Hugo, già maltrattata da cotanto padre, aspirante scultrice, non trovò certo sostegno in Auguste Rodin, almeno stando al biopic che le dedicò François Truffaut, il quale però distorse un po’ la realtà in cerca dell’amato melodramma.

L’ultima ad aggiungersi a questo elenco di protagoniste sfortunate è ancora una fotografa, Gerda Taro, musa e amante di Robert Capa, la cui riscoperta – iniziata già qualche tempo fa – prosegue adesso grazie a La ragazza con la Leica (Premio Bagutta 2018), ultimo e recente libro di Helena Janeczec. Come Gerda, anche la Janeczec è tedesca di origini polacche e, come lei, da giovane scelse volontariamente l’esilio. Gerda (nata a Stoccarda nel 1910) finì a Parigi, Helena da Monaco è sbarcata a Roma, dove vive da decenni, tanto da scegliere l’italiano come sua lingua di scrittura.

Chi conosce il libro che la Janeczec ha dedicato ai suoi genitori, miracolosamente sopravvissuti alla Shoah (Lezioni di tenebra), o il suo racconto romanzato della battaglia di Montecassino (Le rondini di Montecassino, libro potentissimo secondo Roberto Saviano), sa che Helena ama incrociare la storia con la maiuscola con le storie dei suoi protagonisti. Accade lo stesso con il suo nuovo exploit, dove talvolta il lettore avrà qualche difficoltà nell’orientarsi, messo di fronte ai ricordi, non si sa fino a che punto attendibili, di chi Gerda l’ha conosciuta da vicino; e altresì sballottato senza tanti complimenti da analessi e prolessi. Una biografia romanzata che diventa il romanzo corale di una generazione, «una gioventù precocemente europea, colta, indipendente, cosmopolita, idealista, libera nelle passioni e nei comportamenti, costretta dalla storia a ingoiare un destino di oppressioni, guerra e morte» (M. Smargiassi).

Sono tre le «fonti» della Janeczec: due più o meno fortunati spasimanti della giovane Gerda oltre all’amica del cuore Ruth Cerf, che con lei condivise l’adolescenza, gli spensierati anni del liceo e l’emozione dei primi amori. Tutti e tre i testimoni sono concordi nell’affermare che Gerda «era la gioia di vivere. Qualcosa che esisteva, si rinnovava, accadeva ovunque». Una personalità dirompente, che incrociò anche Willy Brandt nei circoli della sinistra, dove si capì immediatamente quale pericolo rappresentasse Hitler, non solo per la Germania. Civettuola e sicura del suo fascino, Gerda fu arrestata per un volantinaggio antiregime, ma gli sgherri che la portarono in prigione col suo abito da sera e le scarpette rosse non credettero che quella bella biondina potesse rappresentare un pericolo per il Reich e la rilasciarono. Decisivo fu poi per lei l’incontro parigino con l’esule ungherese Endre Friedmann, non bello ma fascinoso, un po’ guascone e molto spericolato, il fotografo squattrinato che seppe conquistarla. Fu lei (che già aveva abbandonato il suo vero cognome, Pohorylle) a trovargli lo pseudonimo Robert Capa, grazie al quale Friedmann si liberò di un nome che sapeva troppo d’ebreo e cominciò a procurarsi qualche ingaggio. In cambio Capa le insegnò a fotografare, e naturalmente Gerda si buttò col suo contagioso entusiasmo su rullini e obiettivi. Giovani, innamorati e spensierati, ma amanti soprattutto della libertà, per loro fu immediata la scelta di schierarsi dalla parte dei Repubblicani quando Francisco Franco, rifiutando il responso delle urne, cominciò a mettere a ferro e fuoco la Spagna repubblicana.

La ragazza con la Leica, elegante anche con una pistola alla cintola, ebbe solo il tempo di documentare le condizioni di vita delle operaie iberiche e quel poco che vide sul fronte. Nel luglio del 1937, durante la battaglia di Brunete, si trovò sotto le bombe. Cercò riparo a bordo di una jeep ed ebbe appena il tempo di gridare al collega Ted Allen «Ci vediamo stasera a Madrid, ho dello champagne!», poi cadde dal veicolo e un tank repubblicano – feroce ironia del destino – la schiacciò coi suoi cingoli. Proprio il giorno del suo 27esimo compleanno, il primo agosto 1937, il viaggio di Gerda si concluse a Parigi, al Père Lachaise. La prima reporter di guerra morta sul fronte fu accompagnata da Pablo Neruda e commemorata da Louis Aragon, prima di trovare riposo in una tomba disegnata per lei da Alberto Giacometti.