Pubblichiamo un estratto-anticipazione da La seconda guerra fredda – Lo scontro per il nuovo dominio globale di Federico Rampini in libreria da questa settimana (Mondadori).
Il tramonto del secolo americano, la possibile transizione al secolo cinese bruciano le tappe, lo scenario si fa attuale e accade nel modo più sconvolgente. È turbolento, traumatico. Due imperi, uno declinante e l’altro in ascesa, accelerano la resa dei conti. Chi sta in mezzo – come gli europei – farà la fine del vaso di coccio? Nessuno di noi è attrezzato ad affrontare la tempesta in arrivo. Neppure i leader al comando delle due superpotenze, hanno un’idea chiara sulla dinamica della sfida, sulle prossime puntate di questa storia. Mettono in moto forze che loro stessi non sapranno dominare fino in fondo. È un mondo nuovo; in poco tempo sta cancellando le regole fissate nell’epoca precedente. Abbiamo bisogno di capirlo, è una questione di sopravvivenza.
Trent’anni fa finiva la Guerra fredda. Ma il disgelo Usa-Urss era cominciato ancor prima che cadesse il Muro di Berlino. Perciò abbiamo un ricordo sbiadito delle tensioni acute tra i due blocchi, quando la guerra nucleare era un pericolo concreto, attraversare la «cortina di ferro» era un’impresa, c’erano guerre ideologiche e «cacce alle streghe» da una parte e dell’altra.
Poi ci sono i tanti giovani nati dopo quel fatidico 1989. Per loro il concetto di Guerra fredda è astratto; ammesso che ne abbiano sentito parlare. È ora di riscoprirlo, aggiornato alla nuova realtà. Sta cominciando la nuova guerra fredda, ma sarà profondamente diversa dalla prima. Cambieranno molte cose per tutti, in questa sfida tra America e Cina nessuno potrà rimanere veramente neutrale. L’economia e la finanza, la scienza e la tecnologia, politica e la cultura, ogni terreno sarà investito dal nuovo conflitto. Bisognerà smettere di parlare di globalizzazione come se fosse un fenomeno irreversibile: la sua ritirata è già cominciata.
Ricordate il termine «Chimerica»? Il neologismo fu coniato fondendo le parole «China+America». Accadeva solo dieci anni fa. Quell’epoca si è chiusa e non tornerà più. Sta succedendo ciò che molti esperti consideravano impossibile. I dazi di Donald Trump non devono ossessionarci: sono stati solo l’ultimo capitolo di una crisi. La guerra commerciale può conoscere tregue o compromessi temporanei, è stata solo l’acceleratore di un divorzio che cambierà le mappe del nostro futuro, e avrà conseguenze sull’Europa. La resa dei conti precipita a tutti i livelli: le maggiori multinazionali Usa stanno rivedendo i loro piani cinesi e la loro dipendenza da quel paese. Tutti stanno cercando alternative, vie di fuga, piani di ritirata strategica. È la fine di un pezzo di storia della globalizzazione durato trent’anni. Con esso tramonta anche un certo ordine mondiale: finché tra Washington e Pechino prevaleva la convinzione di avere molto da guadagnare nella divisione dei ruoli, il loro rapporto generava stabilità. La strategia cinese ha garantito ricchi profitti a tutti. Ma ora la Cina di Xi Jinping sta cogliendo i frutti di un grande progetto di emancipazione. È stata brava e spregiudicata al tempo stesso.
Xi è il primo leader che proclama la superiorità del suo modello autoritario sulle nostre liberaldemocrazie. Ma il loro comportamento sta contribuendo ad alimentare in Occidente paura, diffidenza. L’idea che «bisogna fermarli prima che sia troppo tardi» ha fatto breccia anche in ambienti lontanissimi dal sovranismo e protezionismo trumpiano.