La Guerra fredda, il bipolarismo, garantivano stabilità, il mondo che ne è seguito invece no.
La globalizzazione, la nuova economia ad essa legata, la deregolamentazione Usa della finanza, hanno causato la crisi del 2008. Essa coincide con un’altra crisi, quella della democrazia rappresentativa, incapace di governare questi nuovi fenomeni e screditata da corruzione e conflitti d’interesse.
L’atlantismo, scrive autorevolmente Sergio Romano (ex ambasciatore a Mosca, e soprattutto alla Nato) sembra un modo politicamente corretto per definire l’egemonia americana. La parola è stata usata per giustificare le destabilizzanti guerre Usa seguite alla fine della Guerra fredda.
D’altro canto, c’è stata una straordinaria, positiva accelerazione del processo d’integrazione europeo (e questo ha messo l’Italia davanti a se stessa: le proprie anomalie, i propri poteri forti, le proprie corporazioni).
Gli Usa non apprezzano l’unificazione del continente, non ammettono che l’Europa possa dotarsi di un suo esercito, che renderebbe evidente l’inutilità della Nato. Per rivitalizzarla occorre un nemico, che è stato trovato dagli Usa nella Russia. Da qui la nuova Guerra fredda.
Ma gli errori americani incominciano in Afghanistan, dove armano quei talebani che, guidati da Bin Laden, daranno vita ad al-Qaeda. La quale, con l’attacco alle Torri (2001), porrà fine al mito dell’invulnerabilità americana. Da qui, la ritorsione Usa, con l’invasione dell’Afghanistan, le mosche che conquistano la carta moschicida.
L’instabilità del Medio Oriente ha invece origini più antiche, nella Prima guerra mondiale. Da un lato, la dichiarazione di Balfour (1917) inviata al barone Rothschild, prometteva l’istituzione in Palestina di un «focolare per gli ebrei». Dall’altro, Lawrence d’Arabia prometteva agli arabi un grande Stato, dal Golfo Persico al Mar Mediterraneo.
Nonostante questo preludio, il mondo arabo era dominato da dittatori laici e modernizzatori. La situazione è precipitata con la fine degli equilibri della Guerra fredda e con l’interventismo militare Usa e israeliano (Palestina, Libano, Iran, Iraq, Libia, Siria) che ha ulteriormente destabilizzato la regione, provocando l’avvento dell’islamismo. Il fallimento dei regimi laici ha infatti spinto le masse a cercare consolazione in un risveglio religioso.
Oggi è tutto il mondo musulmano, dal Maghreb al Medioriente, ai Balcani (Kosovo, Bosnia), al Caucaso (Cecenia) fino all’Afghanistan e al Pakistan, a essere destabilizzato.
Tra le cause, anche «l’ideologia del “Grande Israele”, l’invasione del Libano, i massacri di Sabra e Shatila, la continua colonizzazione dei territori occupati». Israele è dunque uno Stato identitario, «cioè esattamente il contrario di ciò che dovrebbe essere uno Stato moderno. Ma ha all’interno delle sue frontiere più di mezzo milione di arabi e ha permesso che più di mezzo milione di ebrei andassero a vivere in mezzo a tre milioni di palestinesi».
Aggiornatissimo, il libro è di assoluta attualità: cita la denuncia americana del patto nucleare iraniano, la posizione ambigua dell’Arabia Saudita (ora che gli Usa e l’Islam ortodosso sono diventati nemici) l’emergere delle «tigri asiatiche» e l’attuale rischio che l’Afghanistan torni ai talebani.