Sintesi, concetti chiave e previsioni di politica internazionale che regolarmente si verificano. Ecco cosa aspettarsi da Sergio Romano: un’analisi fredda e lucida del fenomeno Trump, che potrebbe concludersi non con un impeachment, bensì con «la possibilità di una guerra civile».
Donald Trump fa parte della «famiglia americana», che è storicamente divisa in due anime: «Esistono due Americhe, di cui una liberale, aperta ai nuovi diritti, internazionalista, ambiziosa e imperiale; e l’altra sovranista, protezionista, tendenzialmente isolazionista. Queste due Americhe sono sempre esistite. Ma l’elezione di Trump ha allargato il fossato che le separa e creato nuove animosità.
Una guerra civile incruenta fra destra e sinistra si combatte negli Stati Uniti ormai da qualche decennio, quindi una vittoria della impopolare, se non detestata (anche in campo liberale) Hillary Clinton avrebbe potuto avere le stesse potenziali conseguenze del divisivo narcisista Donald Trump.
Il fatto è che «il Paese è alla fine di una fase quasi trentennale durante la quale è stato la maggior potenza mondiale; e di questo status ha fatto un uso alquanto discutibile... Prevalse la tesi di un gruppo di «neoconservatori», molto influenti nella cerchia di George W. Bush, che voleva «rifare» il Medio Oriente a vantaggio di Israele e inaugurare una fase storica in cui gli Stati Uniti avrebbero dominato la scena internazionale senza concorrenti e contrappesi».
Il successore di George W. Bush, Barack Obama, fece del suo meglio per riportare a casa le truppe da Iraq e Afghanistan, dove la precedente amministrazione aveva impantanato una generazione di americani in conflitti insolubili. Così «fu sempre più evidente che l’America non era più in grado di fare fronte alle responsabilità di una potenza imperiale». Obama è sconfitto dall’isolazionista Trump, «destinato a proseguire questa tendenza al disimpegno che è un altro aspetto di tutti i declini imperiali. Ma sarà un disimpegno interrotto da atti di forza ogni qualvolta Trump penserà che l’uso del «grosso bastone» possa dimostrare agli americani che il suo stile è il contrario di quello di Obama».
Che conclusioni trarre da tutto questo? La domanda di Sergio Romano è per noi europei: «È ancora utile affidare la propria sicurezza a un consorzio militare in cui il principale socio è, dallo scorso novembre, un personaggio contraddittorio, stravagante e imprevedibile?». La risposta è che la Nato è superata se non pericolosa: «Qual è oggi la funzione strategica dell’Alleanza? Qual è il suo nemico se non lo Stato che l’America decide di considerare tale per meglio coltivare i propri interessi? Qual è la sua missione se non quella che Trump considera in quel momento necessaria per dare significato alla sua presidenza? Con la Nato l’Europa sarebbe inevitabilmente infeudata agli Stati Uniti. Senza la Nato sarebbe libera di organizzare la propria difesa con le forze di cui dispone e con criteri conformi ai suoi interessi».
Occorre inoltre guardarsi da ciò che Dwight D. Eisenhower (presidente Usa dal 1953) definì con preoccupazione un «complesso militare-industriale, una concentrazione di interessi che ha un’influenza determinante sulla politica americana».
Un’analisi condivisibile, che troverebbe il plauso di Angela Merkel, che ha detto: «È tempo che gli europei prendano in mano il loro destino».