Dove e quando
Verzasca FotoFestival, In cammino. Sonogno, 5-8 settembre 2019. Informazioni www.verzascafoto.com


Fotografare è rispettare

Tra pochi giorni prende il via la sesta edizione del Verzasca FotoFestival, appuntamento che intende conferire un valore più completo e sostenibile alla fotografia
/ 02.09.2019
di Gian Franco Ragno

È un festival fotografico giovane – giunto quest’anno alla sua sesta edizione – ma con già una personalità ben delineata: parliamo del Verzasca Fotofestival che si svolge a inizio settembre a Sonogno, ultimo villaggio della Val Verzasca. Ogni anno il festival ha un tema; per quest’ultima edizione si è scelto In cammino, come a sottolineare una certa apertura al mondo, e il ritorno da questo come forma di condivisione di esperienze, visive ed esistenziali.

Organizzato da giovani operatori del luogo e da molti volontari (cito qui i fondatori Alfio Tommasini e Rico Baumann, ma, oltre a Matilde Beretta, Nathalie Vigini, Clara Storti e Frieder Licht, vi è il contributo prezioso di tanti altri), l’evento offre nell’arco di un finesettimana un cartellone molto ricco: un premio fotografico (quest’anno il Verzasca Foto Awards è andato a Ana Zibelnik, artista polacca), tavole rotonde e incontri, proiezioni, notte della fotografia e visite guidate con gli artisti, lettura portfolio e workshop, musica e tavolate, e infine anche la costituzione di un archivio storico regionale – quest’anno la collezione di foto storiche sarà esposta al Museo della Val Verzasca, sempre a Sonogno.

Ma il punto caratteristico sono le mostre che, in mancanza di spazi espositivi, si svolgono en plein air. Luoghi in cui la fotografia non può più fare affidamento al classico «white cube» – le pareti bianche che solitamente recintano lo spazio privilegiato dell’arte, siano esse perimetro di un museo o di una galleria. A differenza di altri festival, quindi il Verzasca Fotofestival cerca di connettere e fondere nel senso più pieno del termine la creazione artistica e il contesto naturale, due entità che di solito sono in contrasto se non in aperto conflitto.

Da qui le esposizioni in un contesto naturale e all’interno di una cornice alpina; un’immersione totale nella natura delle opere, con proiezioni, installazioni e altre soluzioni temporanee. Tutto ciò produce nell’appuntamento una tonalità dominante assai particolare, un verde intenso naturale che sembra sostituirsi per breve tempo ai colori della fotografia, ossia il classico bianco e nero o le tonalità sature delle ultime tendenze.

Si può considerarlo come un festival senza muri, anche e soprattutto metaforicamente: un essere senza confini che viene sottolineato dalla precisa volontà di invitare artisti in residenza dall’estero (quest’anno Helik Azeez dallo Sri Lanka – in collaborazione con Pro Helvetia – e Malika Sqalli, dal Marocco, in collaborazione con SMArt Sustainable Mountain Art), che producono sul territorio e con il territorio.

Uno degli aspetti più piacevoli è, senza dubbio, una certa informalità che favorisce una condivisione di esperienze. Popolare e conviviale, il Festival verzaschese appare assai lontano dai modi formali dell’arte alta, sempre più vissuta come prestigio e meno come indagine sullo stato del mondo e presa di posizione critica.

Per quanto riguarda gli artisti fotografi, essi sono un tutt’uno con gli spettatori. Invitato alla lettura portfolio ho potuto notare una produzione di grande qualità fotografica e sensibilità, confermando un’impressione di importante fermento creativo. Purtroppo possiamo vederne solo in minima parte i risultati, in quanto ancora proporzionalmente pochi sono gli spazi dedicati alla fotografia rispetto ai molti autori meritevoli e ai progetti che meriterebbero di essere visti.

E se si può trovare un filo comune tra questi autori, è proprio quello di una riflessione visiva sul rapporto tra se stessi e la natura, che porta al forte desiderio e alla necessità di certificare e verificare la propria identità culturale ibrida nel mondo contemporaneo, in una dialettica tra locale e globale, senza dimenticare dimensioni come l’immaginario e l’onirico.

Prendo ad esempio un autore passato dal Festival negli anni scorsi, Tomas Wüthrich (1972). Dopo alcune indagini sociologiche sulla regione rurale bernese da cui proviene, da alcuni anni ha portato su scala globale la sua indagine sociale-ambientale in Borneo: la sua monografia sui cambiamenti dati dalla monocultura dell’olio di palma sulle culture originarie dell’isola ha preso il titolo Doomed Paradise. – The last Penan in the Borneo rainforest, un libro in corso di pubblicazione proprio in queste settimane per i tipi di Scheidegger&Speiss.

In conclusione, penso che sia condivisibile l’idea che le modalità citate siano quelle attraverso cui il territorio si possa far conoscere, e quindi rispettare e apprezzare. Una visione certo meno riduttiva, superficiale e mediatica di un video cosiddetto virale intitolato erroneamente Le Maldive a due ore da Milano, che non considera la capacità di carico, ovvero la quantità limitata di accesso di turisti, in certi delicati luoghi, oltre alla pericolosità dei fiumi alpini.