Dove e quando 
Migros Museum für Gegenwarts-kunst (Limmatstrasse 270), Ma-Me-Ve 11.00-18.00, Gio 11.00-20.00, Sa-Do 10.00-17.00. Fino al 12 maggio. www.migrosmuseum.ch


Femminismi nella rete

A Zurigo, un’esposizione d’arte contemporanea si interroga sul femminismo nell’epoca digitale, sul suo rapporto con la tecnologia, internet e il cyberspazio
/ 15.04.2019
di Sebastiano Caroni

Capacità critica, spinta visionaria e perspicacia stanno alla base dell’arte più autentica, l’unica che possa pensare di lasciare il segno. E quando l’arte incrocia, assimila e rivendica lo spirito del femminismo, ecco che allora nascono opere che denunciano e immaginano, criticano e propongono. L’arte di ispirazione femminista e il suo rapporto con la tecnologia e il cyberspazio (termine che definisce sia l’insieme delle informazioni che circolano attraverso le grandi reti informatiche sia, più genericamente, la realtà virtuale) è al centro di un’interessante esposizione, presso il Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo, dal titolo Producing Futures – An Exhibition on Post-Cyber-Feminisms.

Cronologicamente, il punto di partenza della retrospettiva zurighese si situa a cavallo degli anni 80 e gli anni 90, all’epoca della nascita di internet e dei primi sussulti della realtà virtuale. Già da un paio di decenni alcuni esponenti della scena culturale e imprenditoriale americana sperimentano il progetto di uno spazio informale in cui, superando distanze e differenze, ognuno possa comunicare e condividere idee, scambiare informazioni, apprendere e sperimentare nuove esperienze. In questo contesto, la tecnologia come esperienza di liberazione del corpo e della mente viene sistematicamente riproposta dagli anni 60 in poi, tanto che nel corso degli anni si fanno strada alcune visioni rivoluzionarie del rapporto fra essere umano e computer. Fra queste spicca la visione di Donna Haraway, filosofa statunitense che nel 1985 pubblica A Cyborg Manifesto (Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo), saggio che preconizza la liberazione delle donne attraverso l’associazione con la tecnologia.

Purtroppo, la tecnologia è spesso concepita, utilizzata e messa al servizio di progetti che fungono da supporto al potere, incoraggiando la riproduzione di stereotipi e il mantenimento di equilibri gerarchici. La promessa tecnologica caldeggiata dalla Haraway non ha quindi vita facile, tanto che oggi risulta difficile cogliere nel cyberspazio quel potenziale di rottura e di ridefinizione identitaria intravisto allora. Ma è pur vero che se l’arte in ogni sua forma si fa carico di formulare nuove visioni e nuovi modelli di società, d’altra parte essa fornisce un’occasione per riflettere sul mondo in cui viviamo. Producing Futures si interroga, come ci spiega Heike Munde (direttrice del Migros Museum für Gegenwartskunst e curatrice della mostra) «su come (dagli anni 90 in poi) si sia sviluppata la pretesa di una conquista femminista del cyberspazio, e se le nuove generazioni di giovani artiste articolino ancora gli stessi interrogativi. Eravamo interessate ad esplorare il modo in cui il programma femminista è cambiato sull’onda del nostro costante utilizzo di internet, e a come, oggigiorno, le piattaforme informatiche vengono utilizzate per lottare per una maggiore giustizia (di genere). Eravamo curiose di sapere come gli artisti odierni potessero usare gli strumenti e le piattaforme a disposizione (che forniscono una certa “libertà” rispetto al corpo fisico reale) per riflettere le questioni di genere e di identità, e come tali esplorazioni artistiche potessero contribuire a costituire nuovi modelli identitari. Molte delle opere esposte rivelano che l’identità stessa è aperta, malleabile, sempre in divenire. Una percezione, che dovrebbe essere adattata alla nostra comprensione dell’identità anche fuori dagli schermi, nel mondo “reale”. I lavori esposti, infatti, offrono una percezione che differisce in maniera significativa dall’idea dominante dell’identità come qualcosa di fisso e inalterabile».

In un’epoca in cui l’arte, la cultura e la politica sempre più si digitalizzano, i social media funzionano come cassa di risonanza tanto per idee e movimenti di denuncia, quanto per dinamiche identitarie sempre più frequenti e imprevedibili. Basti pensare al recente successo del movimento #metoo che, grazie ai social media, nel giro di poche settimane diventa un fenomeno globale. Come ci rivela Heike Munder, «Producing Futures vuole contribuire alla consapevolezza e alle discussioni che sono state ispirate da movimenti come #metoo, grazie a cui il femminismo è stato integrato maggiormente nella cultura popolare: questo interesse più ampio dovrebbe essere usato per approfondire ulteriormente l’argomento, per presentare diverse voci e approcci; per dimostrare che non esiste un femminismo singolo, ma piuttosto una moltitudine di femminismi che lottano per l’uguaglianza e l’emancipazione in modi diversi e con atteggiamenti diversi. Forse una mostra e un movimento sociale non sono poi così diversi alla fine: ovviamente differiscono molto sia nel loro funzionamento, sia nel modo in cui raggiungono il loro pubblico, ma alla fine entrambi restano legati all’obiettivo di sensibilizzare su temi femministi e convincere la gente a discutere di disuguaglianza illustrando, al tempo stesso, eventuali strategie per combattere l’ingiustizia».

Se dunque il cyberspazio permette di muoversi velocemente, plasmando nuovi mondi e nuove identità lungo linee rizomatiche, d’altra parte si corre il rischio di rimanere intrappolati nelle seduttive maglie di quella stessa rete che, come un Giano bifronte, a volte promette scenari di libertà dissimulando limiti e ostacoli che condizionano pensieri e azioni.