Biglietti in palio

«Azione» mette in palio tra i suoi lettori alcune coppie di biglietti per il concerto di Jack Savoretti, che si terrà al Palacongressi di Lugano martedì 7 maggio 2019 alle 21.00. Per partecipare al concorso seguire le istruzioni nella pagina www.azione.ch/concorsi.

Buona Fortuna!


Fascino italiano di un autore molto inglese

Intervista - A colloquio con Jack Savoretti, che si esibirà al Palazzo dei Congressi di Lugano il 7 maggio presentando il suo ultimo lavoro in studio
/ 22.04.2019
di Enza Di Santo

L'11 febbraio Azione ha chiacchierato con Jack Savoretti, astro nascente della musica inglese, che presenterà dal vivo a Lugano l'album, Singing to strangers, uscito il 22 marzo. Un disco ricco di sfaccettature, con un fascino romantico, dal quale emergono il talento e gli intenti di questo autore da scoprire assolutamente.

L'intervista vera e propria, immediatamente informale e dai toni amichevoli, inizia dopo cinque minuti di critiche e complimenti rivolti al Festival Sanremo (al quale Savoretti ha partecipato in duetto con gli Ex-Otago), qualche commento sui Grammy Awards e riflessioni sulle pubblicazioni musicali attraverso le piattaforme multimediali e la presenza sui social network.

 

Jack, visto che stiamo parlando di panorama musicale in relazione ai social, tu senti un cambiamento?
Sì, lo sento e la musica c'entra poco. Tutto si basa sulla vita degli artisti, sul loro lifestyle. Il fatto che abbiamo appena parlato di quello che la gente scrive sui social, delle interviste rilasciate dagli artisti dopo le competizioni, di quello che è stato postato, invece di parlare della musica che è stata proposta, dice tutto. Ci sono tante distrazioni e la musica sta prendendo un backsite.

Eh, un po' questo si è visto durante la kermesse: politici che si esprimono in ambito musicale e musicisti in ambito politico attraverso i social. Tu vorresti dire qualcosa?
No, grazie. Appartengo alla tradizione secondo la quale mi piace essere invitato alla festa dove dichiaro le mie opinioni. Quello che non mi piace dei social media è che sono come avere un sacco di persone a casa tua che non hai invitato. Chiunque può avere un opinione su di te o su altro che non hai mai chiesto di esprimere. Questa non è una cosa a cui voglio appartenere, faccio altro.

Infatti, stai suonando molto e ti sei esibito anche all'Hammersmith Apollo, uno dei templi della musica mondiale...
Pensa che il 31 maggio saremo all'Arena di Wembley che sarà ancora più wow, ancora più grande.

... L'esibizione all'Hammersmith Apollo è stata la tua grande occasione, la tua svolta?
No, non avremmo mai potuto esibirci lì (Jack e la sua band), se non fosse stato per i 12 anni on the road, molto pesanti. Non mi piace usare il termine difficili, però sono stati anni di testing, che ci hanno messo alla prova. Siamo riusciti a rimanere in gioco e a far crescere piano piano la nostra fan base: ad ogni spettacolo le persone aumentavano, prima 200, poi 300 e così via fino a 2000. E poi, dopo 10 anni di tournée, c'è stato l'invito al The Graham Norton show, uno show televisivo in Inghilterra, che in 3 minuti e mezzo ha fatto quello che noi non siamo riusciti a fare in 10 anni, ci ha dato grande visibilità. Questo spiega la potenza dei media.

Questo vale soprattutto per i talent...
Assolutamente sì. Fino a quel punto avevamo fatto tutto da soli: passavamo in radio, in tv, avevamo
press (ndr: anche la stampa dava loro considerazione), però conoscevamo i nostri fan, proprio vedendoli faccia a faccia. Quando partecipavamo agli show, sapevo esattamente quante persone ci sarebbero state, quale era il mio pubblico e vagamente anche l'atmosfera del mio crowd. Dopo Graham Norton, dopo la TV, mi sono stupito: ai concerti arrivava gente che non avevo mai visto, un tipo di pubblico diverso, sai, genitori con i figli, gruppi di persone che non mi sarei mai aspettato.

Il pubblico è diventato più eterogeneo...
Esatto. Quindi, non penso che abbiamo ancora avuto la svolta, e forse è proprio questa la fortuna. Non ho ancora avuto la mia hit, o quel momento che devo ripetere. Tutto è stato sempre graduale; ho fatto quella che si dice la gavetta.

Sei un artista incredibilmente internazionale: hai origini italiane e americane, sei nato in Inghilterra, hai studiato qui a Lugano e hai vissuto in America, ma tu che musica ascolti?
Tutto. Lo so, è una risposta odiosa, ma ascolto davvero un po' di tutto, dal jazz al funk, al country alla musica classica. Forse è per questo che non sono mai riuscito a stare in un genere, che forse sarebbe stato più facile vendere. Anche crescendo, ho avuto un gruppo di amici che non ascoltava solo un genere, né ci si vestiva tutti allo stesso modo. Ho avuto la fortuna di frequentare una scuola, nel periodo in cui si sviluppa la propria identità, ricca di culture diverse, internazionale, quindi sono stato sempre molto aperto alle novità.

Lo sai che su I Tunes vieni etichettato come cantante folk? Ti rivedi in questa definizione?
No, onestamente no, anche se c'è una gran parte di me che è folkistica (non so come si dice), e la musica folk mi ha molto ispirato quando ho iniziato.

Chi in particolare?
Simon and Garfunkel, perché Paul Simon per me è il re dei cantautori come Elvis quello del rock n roll. Lui ha reinventato il modo di presentare le canzoni, che sono dei racconti. In 3 minuti ti fa vedere un film, però ho moltissime altre influenze.

Gran parte della tua vita è legata all'Inghilterra...
Adesso più che mai.

Inghilterra che è stata una grande fucina di artisti e di generi: penso ai Clash e al Punk, ai Beatles e al Brith pop, per esempio. Ti senti già parte della scia della magnifica storia della musica inglese oppure no?
Bella domanda. Eh, personalmente mi sento ancora un po' fuori, anche se questa settimana stiamo avendo risultati incredibili. Vedo il mio nome avvicinato ad altri nomi che non mi sarei mai immaginato. Lo so che sono visto ancora come quello di fuori...

Infatti, scusa se mi permetto, ma ho visto un post dove ci si chiedeva “Ma chi è Jack Savoretti con gli Ex-Otago?”, e personalmente, ho cercato sia la tua musica sia quella degli Ex-Otago che non avevo sapevo chi fossero e non avevo mai ascoltato. Fa ridere ma cosa ne pensi?
(Ride) Magari il Festival fosse spinto più su questo. Dovrebbe introdurre alla musica italiana, invece di parlare per tre giorni del luogo di nascita di Mahmood, sarebbe bello parlare di tutte le collaborazioni di tutta la musica che è stata fatta e conoscere gli artisti nuovi.

Come hai conosciuto gli Ex-Otago?
Ho saputo di loro un paio di mesi fa. A me piacciono gli Stato Sociale, che sono di Bologna e proprio a Bologna ho i miei contatti di lavoro italiani. Suonavamo tutti nello stesso club e sentivo che questi gruppi stavano ritornando, per così dire, al cantautorato. Quindi, ho seguito la musica che facevano. Poi, quando siamo arrivati in Italia, abbiamo dovuto fare tantissima gavetta: suonavamo in pizzerie e osterie anche se a Londra stavamo facendo Hammersmith Apollo.

Assurdo...
In Italia non eravamo nessuno. Anche le case discografiche mi sconsigliavanol'Italia, perché il mercato è piccolo.

E allora perché collaborare con band italiane e tentare un tour?
È una cosa di cuore, ci tenevo molto. Inoltre mi dava fastidio che non mi stavano invitando (ndr Jack ironizza sulla questione di essere invitati nella sua prima risposta). Anche qui a Lugano non ho mai suonato nonostante ci abbia vissuto per 10 anni. All'inizio ho fatto qualche intervista, ma niente. È l'industria. In Italia dicevano “non sei italiano abbastanza”, e io chiedevo “ma cosa vuol dire?” e la risposta era “perché non canti in italiano”, ma io sono nato a Londra.

Però ci sono artisti italiani che cantano in Inglese. Perché non canti in italiano?
Perché non ho la padronanza per scrivere un bel brano. È facilissimo scrivere una brutta canzone d'amore, mentre per scrivere una canzone giusta come Anna e Marco, Dio è morto o La canzone di Marinella, bisogna essere “professori” del linguaggio e io per ora non voglio osare.

Hai appena citato La canzone di Marinella di De André, ligure come te...
Lui è ligure (ndr indica suo padre seduto in fondo alla stanza), io sono il risultato di un ligure

Quanto tieni alle tue origini?
Molto, molto, molto. Non so neanche io perché ci tengo così tanto. Ho dei ricordi bellissimi dell'infanzia, molti ricordi estivi, sono cresciuto ascoltandole fiabe e le storie di mio padre e di mio nonno e ho un legame fortissimo con la città. Mio nonno è stato una figura importante per la città perché era Partigiano e ha permesso di firmare la resa dei tedeschi in Liguria, era un personaggio, era uno forte che ha lasciato una bellissima reputazione in città.

Il brano Home, rievoca la Liguria?
Avendo vissuto in Ticino, in America, in Inghilterra e sentendomi a casa anche in Italia, Home per me non è un luogo, ma è una situazione, è un feeling, che di solito, per essere un po' cliché, è l'amore. Dove c'è l'amore sei a casa. Per me dove ci sono i miei figli è casa, dove c'è la mia famiglia è casa. Questa canzone è scritta per spiegare che casa non è un posto. Quando siamo arrivati a fare il video, mi hanno chiesto di immaginare un luogo per le riprese nonostante si stesse cantando una “situazione”, e la prima cosa che mi è venuta in mente è stato lo stadio, perché è un luogo dove tutti vanno per avere un senso di appartenenza a qualcosa di grande. Sembra un po' banale forse.

Quanto senti la tua appartenenza al Genoa?
Molto, specialmente quando sei allo stadio e sei parte della tribù. Ti viene questa cosa dentro, che è anche amore per la propria squadra e i propri colori. Deriva da chissà che cosa, forse dalle battaglie... però l'abbiamo dentro.

Il singolo Candleligth del tuo nuovo album si può già ascoltare su youtube, ed è un palese omaggio a Ennio Morricone.
Assolutamente sì. Ma non solo a Morricone, è un omaggio alla musica italiana.

Quanto la musica italiana influenza la tua musica e in che modo? Cosa ascolti di musica italiana oggi?
Sono cresciuto idolizzando Lucio Battisti che per me è ancora oggi uno degli artisti più rilevanti al mondo come produzione, come coraggio, come idee e così via. Ma tre anni fa mi è successa una cosa strana: con l'arrivo del secondo figlio, ho anche una bambina, io e mia moglie abbiamo deciso di andare via da Londra per vivere nella campagna inglese e lì, mi sono sentito tanto italiano come mai in vita mia. Tutti gli abitanti, super inglesi mi parlavano lentamente perché ero l'italiano del villaggio, e sono rimasto affascinato da questa cosa ridicola, visto che sono nato a Londra e miei figli sono così inglesi, che sembrano usciti da Mary Poppins. Però una parte di me, in quel periodo mi diceva di non dimenticare che sono anche italiano e mi sono reso conto di fare alcune cose in maniera diversa, come quando andavo a prendere mia figlia a scuola e baciavo tutte le mamme sulla guancia, ma questo non si fa in Inghilterra (ride). Quindi, sono diventato una specie d'immigrato malinconico, che ascoltava la musica e guardava i film italiani, e un po' ho giocato con questo stereotipo (ride), non lo nego. Però grazie a questo ho riscoperto tante cose che avevo un po' ignorato: per esempio i primi album di Patty Pravo e brani come Tutt'al più o Io per lui. Le produzioni di queste canzoni sono incredibili, perché hanno queste maestose orchestre da cinema, con, in un angolo, un batterista o un bassista molto rock. Piano piano, in quegli anni stava arrivando anche in Italia il rock n roll, ma non si poteva fare un brano troppo sopra le righe, così si mescolava con la musica classica... un po' come sta succedendo adesso. Per esempio, Mahmood al Festival aveva l'orchestra che batteva le mani; si inizia così la modernizzazione, il cambiamento. Patty Bravo aveva due ragazzi con i capelli lunghi che facevano tum tum tum.

Morricone ha queste orchestrazioni fortissime con un touch di rock n roll di una chitarra elettrica cattivissima, o una batteria o un basso. Una miscela tra l'Italia tradizionale della musica classica, del bel canto, tipo Claudio Villa, e quattro ragazzini un po' in disparte che suonavano con loro qualcosa di diverso. Questo cambiamento, questa sovrapposizione a me piace tantissimo. Non è successo solo in Italia, ma anche in America con Marvin Gaye nel soul, in Francia con Serge Gainsbourg, un po' dappertutto quando il classico è diventato giovane. Quando hanno fatto entrare i giovani in sala di registrazione. Mi sono fatto molto ispirare da quel movimento.

Puoi dare ai nostri lettori qualche curiosità sul tuo nuovo album?
È molto più... Si intitola Singing to strangers, perché ho avuto un po' un understanding, che forse viene con l'età, e ho capito, con questo sesto album, che mi piace intrattenere le persone. Sai, ho negato per tanti anni, e forse anche nei primi dischi, l'intrattenimento della musica dicendo che non lo facevo per nessuno se non per me. Invece adesso, più lo faccio, più mi accorgo che mi piace fare musica che connette,che fa sentire qualcosa alle persone. Non mi importa che piaccia, ma che faccia sentire qualcosa, che faccia avere una reazione. Con Candlelight, il primo singolo, è abbastanza ovvio che nei primi dieci secondi sto cercando di dire: “Hey, siamo qua!”.

Infatti appena la si ascolta si pensa «mi ricorda qualcosa».
È quello che dicono tutti (Ride).

A questo punto interviene Simona Sala con una domanda di chiusura: Nel panorama musicale contemporaneo britannico e italiano, a chi guardi con interesse? Ci sono delle figure particolari?

Allora, c'è questo ragazzo che si chiama J.S. Ondara, che è incredibile e vi piacerà. Poi, in questo periodo sono abbastanza ossessionato da Andrew Combs. Ascoltatelo, vi cambierà il prossimo mese! Se vi piace Sia, vi consiglio una ragazza che sta prendendo l'America: Maggie Rogers. Secondo me la sentiremo per tutto il prossimo anno, ascoltate Heard it in a past life.