Bibliografia
Yaniv Iczkovits, Tikkun, o la vendetta di Mende Speismann per mano della sorella Fanny, Milano, Neri Pozza, 2019


Fanny cerca vendetta

A colloquio con Yaniv Iczkovits, autore del fortunato Tikkun, o la vendetta di Mende Speismann per mano della sorella Fanny
/ 03.06.2019
di Blanche Greco

È il 1894. Una ragazza ebrea approfitta della notte per lasciare il suo shtetl, un villaggio nelle terre sul confine dell’Impero russo. Sotto gli abiti austeri, legato ad una coscia, Fanny ha un coltello per la macellazione rituale, tagliente come un rasoio. In testa, un obiettivo altrettanto affilato: «far trionfare la giustizia» riportando a casa Zvi Meir, il marito di sua sorella Mende, o almeno il suo ghet. La pergamena con l’approvazione del divorzio convalidata secondo la legge religiosa, è essenziale perché Mende, che langue con i suoi figli – addolorata, impoverita e ingabbiata senza diritti in un matrimonio con un consorte perso in una città dell’Impero – possa tornare a sposarsi e vivere con dignità nella comunità.

Tikkun, o la vendetta di Mende Speismann per mano della sorella Fanny, terzo libro di Yaniv Iczkovits, pubblicato da Neri Pozza, è la storia di una ribellione femminile, di un viaggio che molto deve al romanzo picaresco, con dei risvolti degni di un thriller, che prende le mosse da regole religiose ancora praticate all’interno della moderna società israeliana. «Stavo sfogliando alcuni quotidiani del 19esimo secolo in ebraico e in yiddish quando un annuncio attirò la mia attenzione: “Una povera donna in lacrime chiede l’aiuto della comunità per ritrovare suo marito” recitava il titolo. Nel testo c’era il dramma di una donna ebrea che la fuga del marito aveva condannato in un limbo sociale», ci ha raccontato il quarantaquattrenne Yaniv Iczkovits che abbiamo incontrato a Roma, qualche tempo fa alla presentazione di questo romanzo volutamente scritto con «quello stile pieno di umorismo e di grazia caratteristico della letteratura ebraica di fine ’800», che ha vinto il prestigioso Premio Agnon (che non veniva assegnato da dieci anni), e il Ramat Gan per l’eccellenza letteraria.

«A fine Ottocento di questi annunci sui giornali, ce n’erano a centinaia, erano di donne i cui mariti se n’erano andati in America, o in Palestina, o semplicemente avevano lasciato il paesino per recarsi in città ad imparare un lavoro, o per iscriversi all’università, ma la nuova vita era così piena di cose strabilianti e terribili che finivano per tagliare i ponti con il passato, dimenticando moglie e figli. Ed è una situazione che si ripete ancora oggi in alcuni ambiti religiosi israeliani e per questo ho voluto scrivere la storia di una donna che decide di cambiare le cose, il suo tikkun è sovvertire queste regole inique, e per farlo rischia anche la propria vita», ci ha spiegato Iczkovits che ha fatto del suo romanzo un godibile universo di storie, vivace e sapiente, che ci racconta prima lo «shtetl», il paesino di Motal, i suoi abitanti e la complessa vita della comunità ebraica stretta tra le tradizioni, le regole religiose e le leggi dello Zar, e poi il viaggio dell’agguerrita Fanny, che solca le terre dell’Impero dove i pogrom divampano e l’attendono incontri con personaggi strampalati e pericolosi.

«Ognuno di noi è un insieme di storie, perché nella nostra esistenza abbiamo più ruoli, più vite; siamo diversi da come ci vedono gli altri, ma anche da come noi stessi ci consideriamo. La nostra storia, il nostro passato, tutto cambia a seconda di chi lo racconta. Nel mio libro tiro fuori le tante voci differenti che albergano in ogni persona; che spiegano ogni evento, che svelano i segreti di chiunque e poco importa se sia per fare del bene, o del male.» – ha continuato Iczkovits – «Oggi si pensa con nostalgia al passato, alla vita degli ebrei negli shtetl come ad un’esistenza primitiva e naїve dimenticando la naturale conflittualità umana e i profondi contrasti che esistevano in quelle comunità. Tuttavia la realtà fuori dallo shtetl era anche peggio: c’era nei confronti degli ebrei la diffidenza, la discriminazione, l’odio. Fanny è un po’ come Dorothy nel Mago di Oz, i suoi compagni di viaggio sono dei disperati e dei marginali, gente povera, senza casa; dei soldati sbandati, ma è grazie alle loro vicende che faccio rivivere la società dell’epoca».

Tikkun, o la vendetta di Mende Speismann per mano della sorella Fanny, sotto al tono leggero, al sorriso che impregna ogni riga di questa straordinaria avventura, cela una lunga ricerca storica e uno sguardo severo, una critica pungente che non risparmia le tradizioni e le figure più importanti della società ebraica come i rabbini, i saggi, i ricchi, tutti coloro che hanno un ruolo influente e di potere. «Qualcuno mi ha detto che leggendo il mio romanzo si ha l’impressione che l’autore sia un antisemita» – ci ha rivelato Iczkovits abbozzando un sorriso – «Io non penso di essere troppo critico, perché parlo di casa mia e della mia storia familiare. Non ho idealizzato i miei personaggi perché la vita degli ebrei all’epoca era così difficile che, per realizzare qualsiasi obiettivo, dovevano essere pronti anche a compiere azioni orribili. Perché la letteratura dovrebbe tacere la realtà?»

La verità è che il tikkun di Fanny, la riparazione che la ragazza cerca, non è solo per la sorella, è un modo per affermare la propria libertà e dare sfogo a un desiderio di vendetta. In certi momenti la giovane donna con il suo coltello quasi sacro come compagno, ci sembra la metafora di Israele.

«Gli esseri umani sono un impasto di bene e di male e Fanny per ottenere ciò che si prefigge deve organizzare il suo mondo in modo violento. Il suo ricorso alla violenza, inizia per legittima difesa, ma non si ferma lì, puntualizza Iczkovits, molti dei temi di questo libro sono intimamente legati all’attualità della nostra vita in Israele. Qual è il limite del potere? Sino a dove è legittimo usare potere e controllo per legittima difesa? La Storia, con il nostro terribile passato, ci dà molte lezioni e se da un lato c’induce a non cedere a compromessi e a usare la violenza nei rapporti con gli altri; dall’altro ci ricorda che, oggi che abbiamo un Paese nostro e Israele al suo interno ha molte minoranze, dobbiamo evitare di trattarle come noi siamo stati trattati in passato; evitare di fare gli stessi errori. Ma purtroppo per ora, solo la prima parte di questo ragionamento sembra avere successo nella nostra politica».