Esplorando la vita tra danza e tecnologia

In scena il debutto dell’Ideatorio e l’ultima fatica di Luca Spadaro, due produzioni che dimostrano la crescita della scena alle nostre latitudini
/ 09.12.2019
di Giorgio Thoeni

Una sorprendente alchimia unisce la tecnologia alla danza. È un dialogo che inizia alla fine del secolo scorso per proseguire sulla strada dell’incanto drammaturgico di un processo quasi ipnotico, sorretto da un linguaggio dove la disciplina dell’avvenire si trasmuta al fianco delle più elementari leggi della dinamica. È interessante lasciarsi trasportare da queste considerazioni dopo aver assistito a una performance. Come ci è capitato recentemente al seguito di un piccolo evento celebrato a pochi chilometri da Lugano, in un luogo che l’Università della Svizzera Italiana ha voluto dedicare alla comunicazione scientifica: l’Ideatorio di Cadro.

Accanto alla vocazione di servizio culturale, in quella sede, già casa comunale, l’USI ha pensato di occupare parte dell’attività con momenti in cui la comunicazione scientifica potesse diventare anche animazione, spettacolo. L’Ideatorio ha così ospitato il debutto e una sola replica di Spóros, performance concepita e diretta dal video-sound-designer Roberto Mucchiut con l’azione coreografica di Elena Boillat (supervisione artistica di Francesca Sproccati), progetto sostenuto dal Percento culturale di Migros Ticino.

Sulle pareti nude di una stanza la proiezione di una ragnatela a segmenti romboidali elaborata da Mucchiut diventa anima allusiva per il racconto dell’inizio della vita. Un effetto che accompagna i passi della Boillat con un incedere lento e misurato lungo le pareti che produce una sorta di spinta deformante procreatrice sulle linee proiettate. Sono impulsi vitali che a poco a poco generano forme, prima grigie poi colorate. Come cellule al microscopio diventano oggetti che si fissano in un misterioso quanto evanescente quadro floreale, eredità del movimento vitale.

Poco più di mezz’ora vola accompagnando l’esplorazione fisica e immaginifica di Spóros, viaggio evolutivo per la danza elegante, precisa ed energica della Boillat; un respiro costante del corpo attraverso la fascinosa costellazione tecnologica e sonora di Mucchiut. La tappa di un’avventura artistica esemplare per molti aspetti che meriterebbe di superare gli steccati regionali e mostrare le sue qualità anche in altri contesti e in altre sedi.

 

Spazi angusti per la parola di Pinter 
A poche settimane dal suo esordio saggistico-letterario con L’attore specchio sul lavoro pratico con gli attori, Luca Spadaro ha debuttato al Foce di Lugano con la compagnia del Teatro d’Emergenza mettendo in scena Il calapranzi, atto unico del 1959 di Harold Pinter, con Massimiliano Zampetti e Sebastiano Bottari, attori sorretti dall’aiuto-regia di Silvia Pietta (una prima per l’attrice). Una concomitanza stimolante per poter osservare in filigrana il lavoro del regista su un testo che continua a essere considerato teatralmente un osso duro e cavallo di battaglia per una recitazione impegnativa.

Uno spauracchio, insomma. Non è infatti semplice ottenere dalla drammaturgia pinteriana la palestra per neuroni a specchio, parafrasando il testo di Spadaro, con una commedia che si svolge interamente in una stanza chiusa, un luogo di identità in cui si affrontano e si svelano i limiti delle difese dell’individuo con dialoghi di assoluta quotidianità spesso sospinti da motivazioni tutte da trovare e in cui potrebbero annidarsi persino i germi della violenza.

In scena il calapranzi del titolo è il porta vivande incassato nella parete di in un seminterrato arredato con due brandine. Un tempo doveva essere la cucina di un ristorante. Due presunti killer attendono istruzioni sull’arrivo di uno sconosciuto, un messaggio che dovrebbe arrivare proprio dal calapranzi. Presto si fa largo la noia, partono domande intercalate a lunghi silenzi, sopraggiungono nervosismo e dubbi in un dialogo spesso serrato che fa nascere timori, diffidenza.

Una piattaforma ideale per la regia di Spadaro nel testare emozioni condivise. E ce la fa, grazie alla bravura e all’affiatamento dei protagonisti nell’esercizio dei caratteri: nevrastenici, spaventati e insofferenti, talvolta sommessamente comici. Una squadra che ha convinto il pubblico al debutto e nelle successive repliche.