Al Centro sportivo di Tenero è visibile da qualche anno una sua scultura di luce rotante, inserita nella struttura progettata da Mario Botta. Spazio in movimento è un apparente groviglio composto da diecimila tessere di mosaico a specchio. Luce e riflesso: sono due elementi ricorrenti e centrali nella pratica artistica di Teres Wydler, soprattutto negli ultimi anni.
Fin dagli esordi la sua riflessione si concentra in particolare sul rapporto fra arte, natura e tecnica: siamo a metà degli anni Ottanta e l’artista – bernese di nascita, zurighese d’adozione – già compie i suoi primi esperimenti con i semi di piante e dipinge la serie pittorica intitolata Mito e Scienza, opera in cui emerge l’interesse per i cicli biologici, le trasformazioni e le trasmutazioni di microrganismi viventi (e ne sembra essere un diretto richiamo l’opera video esposta in mostra che documenta il ciclo vitale di un mazzo di fiori che sfiorisce).
Ma Teres Wydler non si limita a dipingere e a fotografare, ben presto infatti espande i limiti dei suoi esperimenti, sempre a metà fra arte e scienza, realizzando installazioni permanenti che si integrano nell’architettura di edifici moderni – la modalità espressiva che meglio esprime le potenzialità di questa artista: attraverso i suoi interventi, spazi impersonali e statici, come quelli che possono essere i corridoi o gli ampi locali di grandi banche, diventano dinamici e vivi grazie alle proiezioni di luci o a elementi quasi organici, come un lungo corrimano che ha l’aspetto di un ramo contorto.
L’allestimento di Porza – Accumulation and Transmutation – apre il percorso espositivo con la fotografia scattata ai bordi dell’autostrada che regolarmente Wydler percorre per raggiungere il Ticino, dove possiede un atelier a Intragna; un’immagine che è il primo tassello di un mosaico di opere strettamente legate fra loro, come le parti di un unico discorso che di volta in volta assume il medium più consono al racconto – video, installazione, fotografia, disegno – un racconto che è molto vicino ai toni dell’arte povera, alle modalità della Land art, alle intuizioni di Joseph Beuys.Natura e cultura, arte e nuove tecnologie nella ricerca di Wydler (e di molti altri artisti della sua generazione, basti pensare agli «ibridi» che si muovono però nel territorio del fantastico e del kitsch, creati dal duo Steiner e Lenzlinger) non si pongono come poli opposti, ma piuttosto concetti allargati, dai confini labili e dai ruoli intercambiabili; del resto la contemporaneità ci ha abituati a forme di ibridazione fra umano e macchina, rese possibili dal progresso delle nuove tecnologie, dai progressi compiuti nel campo dell’intelligenza artificiale e della biomedicina.
«Visto che il mondo sta prendendo una direzione delirante è il caso di assumere un punto di vista delirante» – sono le parole del filosofo francese Jean Baudrillard scelte dall’artista; insomma, come dire che l’attuale caos ci induce a compiere un cambiamento di paradigma.Del resto la stessa Teres Wydler si chiede: «la natura si è costantemente evoluta attraverso milioni di anni creando molteplici forme di vita sempre più complesse. Potrebbe essere che la cultura umana sia solo una tappa intermedia di questa evoluzione che consentirà alla natura di raggiungere un livello più alto?»
Una domanda interessante, considerando che la nostra è stata da poco definita l’era dell’antropocene, e alla quale l’artista tenta di fornire le proprie risposte, filmando un battito di alghe che sembra un dipinto in movimento, accostando in un’installazione una radice a materiali industriali, documentando le mutazioni di una casa esposta agli agenti naturali, nel lavoro Ca’ verde: i fotogrammi esposti in cerchio mostrano il ciclo metamorfico di questo oggetto-casa di legno, prima ricoperta di muschio e poi di neve. Sembra pertinente un’altra frase dell’artista citata in mostra: «Pilotare, lasciando che accada».
Perché di questo si tratta, un processo naturale (e apparentemente casuale) guidato impercettibilmente dall’artista e trasformato in opera d’arte.In tutto questo processo creativo, Wydler non si stanca mai di dirci, cruciale è lo sguardo, la luce che permette di accendere la visione: «Due luci illuminano il nostro mondo. Una è fornita dal sole, ma un’altra risponde alla prima: alla luce dell’occhio. Solo attraverso il loro intrecciarsi riusciamo a «vedere», se una di esse manca siamo ciechi».
Wydler in questo caso ricorda le parole del fisico quantistico Arthur Zajonc, che da qualche anno si dedica alla meditazione, esplorando i territori di mezzo fra scienze e spiritualità. Wydler sembra appartenere alla schiera di artisti a vocazione filosofica; nelle loro opere lo sguardo innesca sempre una riflessione, l’immagine ci rende partecipi dei suoi esperimenti che dimostrano quanto la natura (oggi come non mai, nell’epoca della mediatizzazione estrema) sia molto meno naturale di quanto possiamo immaginare.