Novant’anni dopo il primo film parlato, Il cantante di jazz di Alan Crosland uscito nelle sale americane nell’ottobre 1927, il cinema muto non smette di incantare e fare miracoli. Lo sanno bene a Pordenone, dove da 36 anni organizzano Le giornate del cinema muto. Una città di poco più di 50’000 diventa nel mese di ottobre la capitale internazionale degli appassionati e studiosi del cinema muto, con migliaia di persone che arrivano da tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone oltre che dall’Europa, per una dieci giorni di scoperte.
Il Teatro Verdi nel centro cittadino si riempie già per il programma delle 9 del mattino e fa spesso il tutto esaurito nelle proiezioni che si susseguono fino a sera. Opere a volte sconosciute o molto rare, spesso molto belle, talvolta imperdibili, quasi sempre importanti per una storia dei primi decenni della Settima arte che è sovente da integrare con pezzi che parevano perduti. Negli eventi serali più attesi capita di non riuscire a trovare posto in sala, tanto è forte il richiamo: un fenomeno culturale e turistico, che attrae giovani studenti, studiosi di tutte le età, addetti ai lavori e appassionati.
A restare più tiepida è la città, che si lascia coinvolgere solo in parte dal flusso umano che si sparge per bar e ristoranti nelle pause, resta in piazza a commentare ciò che ha visto o si mette in coda con largo anticipo. Il programma, direttore è l’americano Jay Weissberg, è sbarazzino e sfida i possibili luoghi comuni. Niente di polveroso o di noioso, le proiezioni sono quasi tutte accompagnate da musicisti dal vivo (le vere star della manifestazione) e le scelte sono spesso stupefacenti, accostando temi, filoni e opere in maniera anche imprevedibile.
Il cinema muto fa spesso scoprire o riscoprire ciò che era stato dimenticato, sottovalutato, creduto perduto o dimenticato negli archivi e riscrive la storia mettendo in dubbio qualche certezza. Così, si trova nel cortometraggio The Night Raider di Jay Hunt del 1920 una eroina western, ben prima del mitico Johnny Guitar (1954) di Nicholas Ray. Texas Blake è la decisa e scoppiettante proprietaria di un ranch alle prese con ladri di bestiame che agiscono di notte. Per difendersi, sposa un uomo che le sembra affidabile, prima di scoprire che anch’egli fa parte della banda, mentre un nuovo venuto le farà battere il cuore e un colpo di fortuna permetterà di rimediare alle decisioni sbagliate. Oppure il film pacifista inglese Dawn (1928) di Herbert Wilcox con un soldato che rifiuta di sparare.
In evidenza il cinema scandinavo con «La sfida della Svezia», a 100 anni della età dell’oro di quella cinematografia capitanata da Mauritz Stiller e Victor Sjoström. Il secondo è conosciuto soprattutto come protagonista ne Il posto delle fragole di Ingmar Bergman, ma anche per la regia de Il carretto fantasma (1921) e di alcune produzioni americane. Di Sjoström è stato presentato il capolavoro Vem dömer – La prova del fuoco (1922), con Ursula che per sfuggire al matrimonio infelice con uno scultore è accusata di omicidio e deve provare la sua innocenza superando la prova più rischiosa. Un film di alto livello formale, soprattutto nelle meravigliose scene del fuoco, una ricchezza di personaggi e la condanna della religione che sconfina nella superstizione. Bello anche Thora van Deken (1920) di John W. Brunius, drammone su una donna il cui ex marito morente ha destinato tutto a una casa di riposo anziché alla figlia. Superba la prova della protagonista Pauline Brunius, interessante l’utilizzo dei flash-back e notevole l’udienza con giuramento e visione di scheletro delle dita della mano a sottolineare lo spergiuro.
Tra le pochissime opere non accompagnate da musica dal vivo i film giapponesi come Una locanda di Tokyo (1935) di Yasujiro Ozu. Un’opera che può rientrare tra le maggiori del grande autore di Viaggio a Tokyo, con un naturalismo che anticipa il Neorealismo. Ancora giovane (nato nel 1903), Ozu aveva già all’attivo una trentina di lavori e aveva già messo a punto lo stile, le tematiche e l’empatia che caratterizzeranno il prosieguo di carriera. Un padre senza casa vaga con due figli nella periferia in espansione della capitale alla ricerca di un lavoro. I ragazzini fingono di non aver fame e devono rispondere a domande come: meglio spendere le poche monete per un pasto o per una notte alla locanda? L’afflato umanista è contagioso, le immagini potenti, il regista parla di povertà, dignità e condivisione. Da antologia le gag del sakè e del riso immaginari e la gara di linguacce tra i bambini.
Pioniere del documentarismo italiano è stato il milanese Luca Comerio, oggetto della terza parte di un omaggio e una riconsiderazione: tra i suoi lavori Dal Grappa al mare (1925), viaggio sui luoghi della Grande guerra e uno dei rari in cui si vede Caporetto a pochi anni dalla famosa battaglia.
Infine il ricordo della diva Pola Negri, il centenario della Rivoluzione d’ottobre ricordato con due film statunitensi quasi coevi che descrivevano «il pericolo rosso» e l’omaggio ai 70 anni della Cineteca italiana di Milano.