Emozioni e riti ancestrali

La femminilità nella tragedia e la maschera nelle tradizioni popolari
/ 13.11.2017
di Giorgio Thoeni

Rivedere un classico greco può diventare un’esperienza profonda. Per consolidare la memoria di Medea, Franco Branciaroli ha voluto riproporre con la collaborazione di Andrea Salvo l’allestimento della tragedia euripidea nella storica lettura fatta vent’anni fa da Luca Ronconi: una geniale sfilata di passionalità con le parole dell’eroina della Colchide, un’architettura psicologica della «leonessa» ferita, combattuta fra il risentimento per il tradimento del marito Giasone e l’amore per i figli che sacrificherà per vendicarsi. Una storia modellata dal cesello del grande regista per Branciaroli in vesti femminili come una partitura musicale, con una ricostruzione filologica attenta anche alle più sottili venature significanti.

La storia del teatro ha già raccontato di uomini che interpretano donne e dopo Euripide la stagione del LAC prosegue sulla scia con Richard II di Maddalena Crippa (domani sera al LAC) poi con La bisbetica domata con Tindaro Granata nella parte dell’intrattabile Caterina. La Medea di Ronconi esce però dagli schemi, fin dal rapporto di complicità con il coro a cui rivela le sue intenzioni. Poi fingendo sottomissione per raggirare il marito infedele (maschio alfa in canottiera) e Creonte, il re che vuole allontanare quella presenza «barbara». Due ore di spettacolo intenso alla conquista del pubblico del LAC in due serate. La prima con una platea numericamente generosa, la seconda un po’ meno ma entrambe colme d’entusiasmo per l’interpretazione di un attore superlativo.

Liturgie ancestrali in maschera

Il percorso di Opera retablO è coerente per come continua a tessere le sue trame indagando fra miti, simboli e tradizioni popolari ma anche per essere fra i pochi gruppi ticinesi che guarda a Nord delle Alpi. Dahü, lo spettacolo che ha debuttato al Sociale di Bellinzona (co-produttore con il Théâtre du Pommier di Neuchâtel, il Théâtre Raccot e il Théâtre du Crochetan di Monthey) ne è un esempio con un progetto a cui ha collaborato la compagnia vallesana Mladha. Si apre con il pubblico chiamato ad assistere indossando una maschera: la platea del teatro, liberata dalle sedie, si rivela così assediata da inquietanti figure larvali. C’è voglia di stupire con semplicità partendo da simbologie popolari. Quelle delle aree alpine europee e dei suoi antichi riti di passaggio. Dal personaggio che nasce dalla terra: una nuda figura che agita un campanaccio alla «Trychlern» attraversando la scena per diventare il santino colorato di una madonna dal cuore trafitto.

C’è l’uomo selvatico, il fantoccio dei campi, il goffo diavolo imbottito di paglia e una danza liberatoria che corre ad abitare il corpo del misterioso «dahü». Spettacolo affascinante e rito sincretistico dalle poche parole iniziali, scandite sull’essere e sul divenire nella trasfigurazione del ciclo vitale. Una teatralità convincente, dai forti rimandi antropologici e applausi sinceri per Ledwina Costantini e Mathieu Bessero-Belti con Daniele Bernardi, Lisa Monn e Faustina Moret. Repliche al Foce dal 28 al 30 novembre.