È concepita come un viaggio autobiografico la mostra di Lawrence Carroll al Museo Vela di Ligornetto. Una sessantina di lavori raccontano la vicenda artistica del maestro di origini australiane dagli esordi fino ai giorni nostri, creando un intreccio narrativo fatto di continui rimandi tra i vari momenti che hanno scandito un cammino all’insegna della tenacia. Momenti sempre molto vicini tra loro, anche se lontani cronologicamente. Perché quello di Carroll è un percorso fatto di variazioni sottili e di scarti minimi, di temi ricorrenti e di riflessioni reiterate.
C’è sicuramente una consequenzialità nell’operato dell’artista, ci sono traguardi, snodi e nuovi inizi, ma ciò che meglio lo caratterizza è la costante frequentazione di pochi concetti e la rielaborazione di un linguaggio che procede per lievi, quasi impercettibili, mutazioni. «Quando riguardo il mio lavoro», confessa lo stesso Carroll, «vi scopro tracce di lavori precedenti: fili che si collegano a idee pregresse, fili che muovono verso una storia che deve ancora svelarsi». Sospese le coordinate temporali, l’itinerario espositivo di Ligornetto palesa così le ripetute evocazioni e i persistenti ritorni nella poetica dell’artista, lasciando al visitatore la possibilità di scoprirne le suggestioni e i richiami, la sensibilità e la profondità.
Complici le grandi sale luminose di quella che fu la dimora e insieme l’atelier e il museo di Vincenzo Vela, le opere di Carroll predispongono immediatamente alla contemplazione, alla graduale individuazione proprio dei «fili» e delle «tracce» che le legano tra loro facendone un unico, ampio, quadro espressivo.
È sicuramente la lentezza uno degli elementi chiave dei lavori di Carroll. Una lentezza duplice, che si manifesta nella fruizione del dipinto, affinché esso possa rivelare anche ciò che non è immediatamente visibile, e, ancora prima, nel processo creativo, per il quale l’artista ha bisogno di «tempo per lasciare sedimentare le cose», per aspettare e guardare con occhi nuovi ciò che è stato fatto. Non stupisce, allora, che alcuni pezzi esposti siano stati realizzati nell’arco di parecchi anni, a dimostrazione di quanto importante sia per Carroll la trasformazione incessante dell’opera per ritenerla terminata solo quando è diventata estrinsecazione compiuta del suo pensiero. Emblematico in questo senso è Stacked Painting, iniziato nel 1992 e concluso nel 2017, costituito da diversi pannelli di tela modificati molte volte.
Lo stesso sovrapporsi di strati di colore e di oggetti che caratterizza i suoi lavori suggerisce l’elaborazione cauta e meditativa dell’artista, secondo un approccio che privilegia il silenzio e che vuole preservare l’atto della creazione dal caotico mondo esterno.
Attraverso pigmenti, polveri e materiali Carroll dà origine a opere dall’accentuata tridimensionalità che, sebbene rimangano essenzialmente dipinti, aprono alla dimensione scultorea e all’installazione, in una commistione di espressioni formali che fornisce all’artista maggiori possibilità di esplorare le potenzialità stesse della pittura.
La tela viene considerata da Carroll un luogo di sperimentazione a cominciare dal colore, che tende ad accostarsi il più possibile alla tonalità e alla porosità del supporto come una sorta di seconda pelle. La tavolozza cromatica dell’artista tocca le tante sfumature del bianco – dal crema al beige, dal perla al polvere – e si spinge verso i grigi chiari, i gialli flebili, i verdi pallidi e i rosa tenui. Gradazioni «morandiane» che contribuiscono a generare un’atmosfera diafana e nostalgica.
Proprio Giorgio Morandi è una delle figure fondamentali per Carroll. Da lui apprende la modulazione del colore, l’importanza della luce e soprattutto l’intimità del gesto che si fa incarnazione della memoria. Accanto al pittore bolognese altri sono i maestri che influenzano la ricerca dell’artista: da Henri Matisse impara «l’aria», da Piet Mondrian come spingersi ai bordi dell’area pittorica, da Jasper Johns il fascino dell’accumulo, da Donald Judd il modo in cui l’opera può prendere possesso dello spazio.
Carroll realizza le sue tele con pezzi cuciti insieme in maniera rudimentale, rivestendo il legno grezzo con fili, graffe e chiodi lasciati sempre bene in evidenza. Queste tele difettose diventano poi territorio di manipolazioni ulteriori: l’artista le impila, le accorpa, le buca, le tronca, le ricopre di cera. E ne fa superfici su cui appoggiare oggetti per fagocitarli nella materia pittorica e accrescerne il valore metaforico.
È così che i suoi dipinti acquistano un’inaspettata fisicità, facendosi corpi quasi architettonici che ci appaiono nel loro poetico contrasto di imponenza e leggerezza. Bisogna scrutarli con attenzione per scorgerne tutte le peculiarità. Bisogna esplorarne ogni parte, guardare tra le fessure e i depositi di materia, senza tralasciare bordi e margini, che l’artista tratta al pari delle porzioni più visibili.
In questo lento manifestarsi, l’opera mostra tutte le sue imperfezioni, irregolarità volute da Carroll per rendere percepibile l’intera storia del dipinto. L’artista comprende quanto l’imperfezione sia fondamentale per la sua pittura osservando le statue greche e romane al Metropolitan Museum of Art di New York: corpi spezzati, privi di braccia, di dita o di parti del volto che però riescono a restituire un modello di integrità. In questo consiste la loro bellezza. Allontanarsi dalla completezza e dalla condizione definita significa per Carroll dare vita a una pittura che non vuole essere «eroica» ma che al contrario tende alla vulnerabilità. I rattoppi, le cuciture, i materiali usati (dalle stoffe ai giornali, dalle rose alle scarpe), i perimetri smussati e le forme mutevoli sono gli strumenti della sua ricerca di una dimensione viva, umana.
In Figment, datato 1985, uno dei pezzi più rappresentativi esposti nella rassegna di Ligornetto, Carroll ritaglia al centro della tela una piccola finestra per poi ricollocarla in maniera imperfetta. Un’opera questa, che si è tradotta in un lavoro potente proprio per quell’idea di incompletezza diventata poi segno distintivo della pittura dell’artista.
Appassionati e rarefatti, fragili e malinconici, i dipinti di Carroll sono narrazioni intrise di ricordi, di silenzi e di una ieratica umanità che pochi altri artisti sono riusciti a esprimere.