Da tempo siamo convinti che la superficie sia ingiustamente sottovalutata. La scintilla risale a una frase sentita tanti anni fa in un film del regista francese Max Ophüls, I gioielli di madame de...: Una storia di orecchini perduti (ma in realtà svenduti), ricomprati dal marito per non dare scandalo e regalati a un’amante che a sua volta li porta al banco dei pegni. Riscattati da un avventuriero, sono da lui regalati alla prima proprietaria, che per poterli sfoggiare finge di averli ritrovati dentro un guanto.
Il marito (che sa tutto, e ha contribuito al girotondo) dice alla moglie: «il nostro matrimonio è superficiale solo in superficie». Da allora abbiamo pazientemente raccolto prove per dimostrare che la superficie offre le sue soddisfazioni, mentre tutti attorno a noi sembravano tenere in gran conto la profondità. Scavando e sempre scavando. Ma per trovare cosa?
I film definiti profondi nel catalogo dei festival erano i più noiosi, gli scrittori definiti profondi lo erano altrettanto, certe altre narrazioni considerate «leggere» procuravano ben altri piaceri (nel senso di Roland Barthes, Il piacere del testo, e anche nel senso dell’evasione, che non è una brutta parola). Come ognuno sa – tra chi sa di queste cose – è più difficile far ridere che far piangere, ed è più difficile ancora nascondere la profondità in superficie. Chi è bravo l’afferra, e ci dispiace per gli altri (del resto cinema, letteratura, serie tv non sono obbligatorie e non rendono migliori).
Con questi precedenti, ci siamo buttati subito sull’ultimo libro di Diego De Silva, intitolato appunto Superficie (esce da Einaudi). Per la superficie, ovvio. E perché conosciamo lo scrittore per i romanzi con l’avvocato napoletano Vincenzo Malinconico. Titoli, già gustosi: Non avevo capito niente, Mia suocera beve, Sono contrario alle emozioni, Arrangiati, Malinconico, Divorziare con stile (avvertenza: un libro tira l’altro).
Bouvard e Pécuchet avevano il loro catalogo di luoghi comuni. In gran parte restano validi – spesso gli architetti ancora dimenticano le scale. Da quando «il cretino è specializzato» (copyright Ennio Flaiano) serve una rinfrescata, tanto più che ormai è diventato «webete» (copyright Enrico Mentana). E tutti noi, va confessato, abbiamo momenti di cedevolezza cognitiva. Impossibile non riconoscersi nella frase: «Il più costoso dei computer avrà sempre qualche difetto congenito a cui ti abituerai» (vale anche per certe manovre-scorciatoia che non abbiamo mai imparato, preferendo la via lunga, ormai siamo abituati così).
Diego de Silva non si limita al catalogo. Crea cortocircuiti, accostando frasi fatte ad altre frasi fatte, riportando dialoghi in cui nessuno ascolta, aspetta solo il proprio turno per proseguire il proprio monologo. Mette una bombetta sotto i luoghi comuni. Per esempio: «La passione si spegne, ma poi c’è la stima a rovinare tutto» (appunto, ti ritrovi a guardare l’ex fidanzato pensando: «come ho fatto anche solo a rivolgergli la parola?»). Per esempio, condensando un decennio in una battuta: «Se vuoi capire gli anni 70, pensa alla moquette». Anche l’affetto filiale, in una battuta: «Quando mia figlia mi compra un vinile capisco che mi vuole bene».
Domandona: «Un anziano che si separa, non ti restituisce gusto per la vita?» L’amore è sempre al centro, basta vedere l’attenzione che abbiamo riservato al matrimonio di Meghan Markle con il principe Harry, lunghezza dello strascico e acquamarina al dito (dalla collezione di Lady Diana). Ci sono quelli che cercano sul dizionario il verbo «impiattare», quelli che il pane lo impastano e cuociono in casa, quelli che non rinunciano al profumo della carta – nuovo bollino da intellettuale, dopo «non guardo mai la televisione» (c’è un video con Roberto Saviano che annusa un suo libro, dicendo che trova la cosa vagamente incestuosa: purtroppo in materia nessuno riesce mai a inventare niente, la sciocchezza umana possiamo solo collezionarla).
Ma il tempo è galantuomo o tiranno? Anche la saggezza popolare, o presunta tale, ha i suoi mancamenti. Oppure: «Le poche volte che ho incontrato la verità, non era mai nel mezzo». Di sicuro Diego De Silva ci ha ascoltati e annotati, in questi anni. La prossima volta che lo incontreremo staremo bene attenti a non dire sciocchezze. La prossima volta che andremo su un social, penseremo con nostalgia a un’altra perla Made in De Silva «Io non porto rancore, lo custodisco».