Eccessi della gola e salutismo

Il rapporto tra cibo ed essere umano è sempre stato controverso
/ 20.05.2019
di Elio Marinoni

Corporis exigua desideria sunt / «Modesti sono i bisogni del corpo» (Seneca, Consolazione alla madre Elvia, 10, 2).La massima esprime efficacemente, grazie in particolare all’anticipazione del nome del predicato (exigua/«modesti»), un luogo comune della filosofia antica, trasversale alle principali scuole. Nel passo senecano essa introduce una lunga invettiva contro i golosi, di cui riporto qualche stralcio: «Da ogni parte fanno affluire tutti i cibi noti al loro palato schizzinoso […]; vomitano per mangiare, mangiano per vomitare e non si degnano neppure di digerire quelle vivande che in tutto il mondo fanno reperire. […] Miserabili coloro il cui palato non è stuzzicato se non dai cibi più costosi! […] Dappertutto si trovano certi alimenti, che la natura ha distribuito in tutti i luoghi, ma come ciechi passano oltre questi cibi […] e mentre con poco potrebbero placare la fame, la stuzzicano a caro prezzo. […] Non è follia e aberrazione estrema desiderare molto, quando puoi contenere così poco?» (Consolazione alla madre Elvia, 10,2-7).

Sul tema degli eccessi gastronomici Seneca ritorna parecchie volte nelle sue Lettere a Lucilio. Descrivendo un padrone attorniato dagli schiavi così si esprime: «mangia più di quanto possa contenere e con enorme avidità carica il suo ventre gonfio e ormai incapace di adempiere la sua funzione, sicché espelle ogni vivanda con maggior sforzo di quello fatto per ingerirla» (47, 2). Altrove parla di «gola profonda e insaziabile» (89, 22); mette in guardia contro le conseguenze negative della gola sulla salute: «Non meravigliarti se sono innumerevoli le malattie: considera il numero dei cuochi»( 95, 23); e conclude: «Saremo sani e moderati nei desideri se ciascuno si renderà conto di avere un solo corpo, che non può contenere molto, né a lungo» (Lettere a Lucilio 114, 26).

La maggior parte dei passi di Seneca e di altri autori che criticano gli eccessi della gola è strutturata secondo la tecnica retorica dell’antitesi: tra unicità del ventre e smodatezza degli apparati; tra piccolezza del corpo umano e profusione di vivande; tra smisurata avidità e limitatezza dei bisogni naturali. Il motivo è già presente in Orazio (Satire, I, 1, 41 ss.) e sarà ripreso da Plinio il Vecchio: «Le maggiori preoccupazioni le reca all’uomo il ventre, per il quale la maggior parte degli uomini vive [...]. Per lui soprattutto l’avidità è bramosa, per lui […] si scandagliano gli abissi del mare» (Plinio, Naturalis Historia, XXVI, 43). Plinio rimpiange la frugalità di un tempo, una dieta largamente basata sugli ortaggi: «A Roma quello di cui si cibava il popolino veniva dall’orto: e quant’era più sano e più morigerato quel vitto!» (Plinio, Naturalis Historia, XIX, 52).

Viene da chiedersi se Plinio avesse già scoperto i pregi della dieta mediterranea, oggi esaltata a parole e raccomandata in qualsivoglia rubrica giornalistica o programma televisivo, ma poi disattesa. La nostra società e in particolare la comunicazione di massa sembrano dominati, per quanto riguarda il rapporto con il cibo, dalla compresenza di due tendenze di segno opposto: da un lato un interesse smodato per la gastronomia, dall’altro un salutismo parossistico. Succede così che sulle pagine della stampa scritta e sulle reti televisive si alternano e felicemente (?) convivono luculliane preparazioni culinarie, faticosi esercizi di fitness e severe rubriche mediche in un frenetico carosello di cuochi più o meno stellati, di ginnasti palestrati e di guru della dietologia.