La sua favella non era forse arguta e speedata come quella dei suoi fratelli Chico e Groucho, ma Harpo Marx (1888-1964) non era affatto muto. Era invece destino che nessuno, al cinema, udisse la sua voce: la sua unica, semplicissima battuta («Sei sicuro di non poterti muovere?») la pronunciò infatti nel film Too Many Kisses, girato però quando il cinema era ancora muto.
Harpo parlava e cantava, eccome!, all’inizio della lunga gavetta nel vaudeville. Prima dell’avvento del sonoro, tuttavia, aveva deciso che non avrebbe più aperto bocca – se non per esibirsi nelle sue celebri smorfie – né in teatro né sul set. Colpa o merito di un critico, che dopo averlo visto sul palco coi suoi fratelli in Cocoanuts (loro primo grande successo a Broadway eppoi a Hollywood) scrisse che «Harpo è così dotato di comicissima mimica che dovrebbe rinunciare alle battute» e lui seguì il consiglio.
È uno dei tanti aneddoti che troviamo in Harpo speaks!, autobiografia pubblicata con l’aiuto del giornalista/scrittore Rowland Barber già nel 1961 e solo recentemente tradotta in italiano da Erga Edizioni. Dicevamo delle sue smorfie, che lui chiamava Gookie, in omaggio a chi gliele aveva ispirate: Gookie era un operaio che rollava sigari alla finestra di una tabaccheria nella Lexington Avenue, a pochi isolati da casa Marx. «Era talmente assorbito dal suo lavoro che non aveva idea delle facce buffe che gli venivano. Buttava avanti la lingue ingrossandola e arrotolandola, gonfiava le guance, strabuzzava gli occhi e li incrociava».
Quando Harpo si trova in difficoltà con un avversario (il venditore di bibite ne La guerra lampo dei Fratelli Marx), eccolo piazzargli un Gookie sotto il naso, prendere tempo e, se non proprio averla vinta, riuscire a scappare. L’irruzione sulla scena – improvvisa e fuori ogni logica – per rincorrere una spaventatissima girl urlante e mezza svestita era un altro suo tormentone nato dalla voglia di giocare un tiro mancino a Groucho: «Dietro le quinte avevo chiesto a una ballerina se voleva una parte più importante nello spettacolo. Certo che la voleva! Tutto ciò che doveva fare era correre e urlare per il palco durante un tranquillo monologo di Groucho. Lei lo fece e io la rincorsi insidiandola da vicino, saltellando e suonando un corno.» Grandi risate, ma Groucho non si scompose: «È la prima volta che vedo un taxi che chiama un passeggero!»
La famiglia Marx sbarcò a New York alla fine dell’800. Mamma Minnie si accorse subito della creativa esuberanza dei suoi cinque figli maschi e decise che ci sarebbero state le luci della ribalta nel loro futuro. S’improvvisò manager e organizzatrice, rincuorò i suoi ragazzi nei momenti più duri, quando la famiglia – a corto di scritture o truffata da un contabile disonesto – rischiava la fame. Una parte importante nella loro avventura esistenziale-artistica l’ebbe pure papà «Frenchie», umile sarto del Lower East Side, troppo buono per far carriera, ma sempre col sorriso sulle labbra e la battuta pronta. Harpo abbandonò la scuola in seconda elementare nel modo più diretto possibile: «Mi gettarono dalla finestra due fratelloni irlandesi». Lui era una vittima predestinata: piccolo per la sua età, dalla voce alta e stridula e, last but not least, ebreo.
La scarsissima istruzione («Ho cercato di non sapere nulla di tante cose, e ci sono riuscito piuttosto bene») non gli impedì di conoscere e frequentare personalità illustri della sua epoca, a partire dal suo mentore Alexander H. Woollcott, celebre quanto eccentrico giornalista e critico teatrale dell’epoca, fondatore di una vera e propria «Tavola Rotonda» alla quale, accanto ad Harpo, sedevano volentieri George e Ira Gershwin, Irving Berlin, Noel Coward, Harold Ross (creatore del «New Yorker») o Dorothy Parker; e poi tanti divi del grande schermo: i Barrymore, Greta Garbo, Tallulah Bankhead, Eddie Cantor e, tra gli altri, Ruth Gordon, la quale visse una seconda giovinezza nel 1971, quando Hal Ashby la scelse come protagonista di Harold and Maude. Più che le esperienze sul set o in tournée (Harpo ne affrontò una – trionfale – nell’Unione Sovietica nel 1933), il libro dedica ampi passaggi a questi e molti altri illustri personaggi di cui Harpo – il più anarcosurrealista dei Marx – ricordava a distanza di anni vizi e vezzi con invidiabile memoria: «Sovente gli elefanti mi chiedono consiglio…»