Due violini speciali

A colloquio con il grande violinista Shlomo Mintz, che il prossimo ottobre compirà sessant’anni
/ 03.07.2017
di Enrico Parola

È uno dei massimi violinisti viventi e lo è da quarant’anni; considerando che ne compirà 60 il 30 ottobre è facile capire la precocità del genio di Shlomo Mintz, che a 11 anni già suonava con la Israel Philharmonic e subito dopo con Zubin Mehta. Ma la grandezza di un interprete non è data solo dalla rapidità delle sue dita: a foggiare lo spirito e l’arte di Mintz ha contribuito, e in modo determinante, la storia personale. Fin dal suo debutto non sul palco ma nel mondo: «Sono nato in Russia, ma la mia famiglia è ebrea. Non conservo nessun ricordo di quel tempo: i miei genitori lasciarono il Paese quando avevo sette mesi; passarono per l’Austria e arrivarono in Italia; da lì, dopo un po’ di tempo, raggiungemmo Israele via mare; ecco, l’immagine più antica che rimane impressa nella mia memoria è quella grande nave che solca le onde e ci porta dall’altra parte di quella infinita distesa d’acqua».

Non ha ricordi del periodo russo «ma ho notizie, col tempo i miei iniziarono a raccontare; mio padre, ad esempio, aveva scontato 18 mesi di lavori forzati in Siberia: erano stati tempi difficili». In confronto Israele gli sembrò un paradiso: «Non tanto perché fosse il paese del bengodi, negli anni Sessanta là la povertà era abbastanza diffusa e anche noi eravamo poveri; ma è incredibile quanta cultura scorra su quella terra! Limitando il discorso alla musica, quasi tutti i bambini suonavano uno strumento, la mia inclinazione verso il violino era vista come la cosa più naturale del mondo. Infatti iniziai subito seriamente, già a sei-sette anni; e appena più grandicello mi svegliavo alle quattro per studiare anche due o tre ore prima di andare a scuola; ma non ero una mosca bianca».

Non era l’unico, ma nessuno suonava bene come lui: il primo concerto pubblico a sei anni «ma era solo un concerto di studenti»; a nove l’incontro con Isaac Stern, mito assoluto dell’archetto, «indossavo i pantaloncini corti; mi ascoltò e mi suggerì di andare in America per perfezionarmi; ero piccolo e quell’idea mi suonava strana se non assurda, ma dopo il liceo seguii il suo consiglio». Il debutto con l’orchestra, ed era la più importante del Paese, la Israel Philharmonic, a undici «per suonare il Concerto di Mendelssohn; ho ancora la foto di quella serata: un bambino rotondetto con gli occhiali e l’espressione più divertita che intimidita, perché il suonare davanti alla gente e con tanti strumenti che ti accompagnano fu una sensazione inebriante, come provare una droga: avevo pensato e provato, poi sul palco tutto era andato come programmato, un risultato bellissimo, l’applauso che per un bambino suonava bellissimo; capii subito che non ne avrei più potuto fare a meno».

Il grande salto a 14 anni, sempre con la Israel, sul podio Zubin Mehta: «Itzhak Perlman aveva dato forfait all’ultimo per un’indisposizione e mi chiamarono all’improvviso; dovevo suonare il Primo Concerto di Paganini. Studiai come un matto, curai i dettagli in modo maniacale; poi, sul palco, fu tale l’emozione di suonare con Mehta che la prima frase mi venne malissimo; mi girai verso il podio disperato, ma lui mi sorrise incoraggiandomi, mi sciolsi e da lì andò tutto a meraviglia». Da lì è stato un crescendo rossiniano dove le prospettive si sono moltiplicate: Mintz ha iniziato a suonare anche la viola e da vari anni si cimenta come direttore.

Ma il capitolo della sua straordinaria carriera che gli è più caro è uno dei più recenti: «Ho avuto il privilegio di imbracciare dei violini preziosissimi; vent’anni fa, ad esempio, usai il Guarnieri del Gesù “Cannone” appartenuto a Paganini, poi uno Stradivari e vari altri; lo strumento è fondamentale perché ti permette di esprimere tutto ciò che hai dentro, è la tua voce davanti al pubblico. Una volta mi capitò di romperlo: stavo registrando con Claudio Abbado e la Chicago Symphony Orchestra i Concerti di Mendelssohn e Bruch, il mio violino andò letteralmente in pezzi e dovetti completare la registrazione con quello del konzertmeister dell’orchestra» sorride divertito; ma dopo questa premessa lo sguardo si fa serio e arriva al punto fondamentale: «Beh, tra tutti i violini che ho potuto provare, ce ne sono due che mi hanno emozionato in modo incomparabile; due strumenti anonimi costruiti negli anni Venti dello scorso secolo, senza particolari qualità timbriche, ma è la loro storia ad essere speciale».

Sono infatti due dei 28 violini che Amon Weinstein, un liutaio di Tel Aviv, ha recuperato tra quelli che si suonavano ad Auschwitz: «Tra le varie forme di angherie che gli aguzzini nazisti perpetravano contro le loro vittime vi era quello di far suonare un’orchestra davanti al cancello principale, al mattino e alla sera, quando andavano a lavorare e poi ritornavano. Erano gli stessi internati a suonare». In realtà l’idea di recuperare questi strumenti non era venuta a Weinstein, ma a uno dei suoi studenti, che non era ebreo ma era appassionato di sionismo e dell’olocausto. Weinstein ne raccolse e sviluppò l’intuizione e si mise sulle tracce degli strumenti di Auschwitz, sparsi in Germania e altri Paesi e recuperati da liutai o in solai di persone che non avevano la minima idea delle storie che si celavano dentro quei violini, per la maggior parte seriamente danneggiati. «Ne ho suonati due, ad Auschwitz, dove ho trascorso un’intera giornata con Amon, davanti al Muro del Pianto e davanti ai militari israeliani. Uno era stato fabbricato nel 1924 da un certo Yaakov Zimmerman, che aveva insegnato a costruire violini al papà di Weinstein. L’altro apparteneva a un ragazzo di 14 anni cui avevano assassinato i genitori, davanti a lui; provò a reagire, uccisero anche lui, a sangue freddo. Quando lo imbraccio non posso non pensare a questa storia, mi fa vibrare fin nel profondo».

È facile capire come per Mintz la musica non sia entertainment: «Cerco di comunicare la verità del brano che sto suonando; se comunico un messaggio vero, che sappia toccare il cuore, la musica unisce le persone, crea tra loro un legame forte».