Rilassato, elegante e pieno di anima, Let Life Flow è il nuovo album di Philipp Fankhauser appena uscito per Sony Music Suisse. È il sedicesimo lavoro del bluesman svizzero e stilisticamente è la naturale continuazione del precedente I’ll Be Around (2017). «Quando finisco un disco ne sono contento al 75%. I’ll Be Around invece – racconta l’artista – ha sorpassato tutte le aspettative. Così, al momento di fare un altro disco ero un po’ stressato perché non ero sicuro di riuscire a realizzare qualcosa all’altezza».
La svolta è arrivata per caso, grazie a un blasonato collega. «Quando ho sentito Kenny Neal a Montreux lo scorso anno è stata veramente una rivelazione. Ho capito che la sua canzone Let Life Flow sarebbe stata la base del nuovo album. Da lì poi le altre cose sono cadute al loro posto in modo naturale. Insomma, ne siamo contentissimi».
Fiati, coriste, le tessiture sognanti della steel guitar e quelle calde dell’Hammond e del piano Rhodes: Fankhauser, con la sua voce profonda e appassionata è al centro di tutto, perfettamente a suo agio in blues ballad come You’ve Got to Hurt Before You Heal o Here in My Arms e nei momenti più vivaci come Cold Cold Winter o Stone Cold & Blue, che il musicista impreziosisce con la sua chitarra, raffinata ed essenziale. Si respira soul nei brani di Let Life Flow, un album che arriva a trent’anni esatti dal debutto discografico con Blues for The Ladies. «Dai miei esordi è cambiato quasi tutto – riflette Philipp –. Nel 1989 i brani erano molto tradizionali. La base è sempre blues e io rimango un cantante di blues, ma oggi ci siamo distanziati dal blues nero tradizionale e abbiamo aggiunto del soul… Sono cose che ho cominciato a sviluppare nel 1995 con l’album On Broadway. Poi, la mia voce è cambiata moltissimo. E per fortuna!».
La sorpresa arriva con due brani che non ci si aspetterebbe ma che suonano perfettamente naturali. Chasch Mers Gloube del compositore bernese Hanery Amman è cantato in Bärndütsch. «Ci siamo conosciuti tanti anni fa quando facevo l’autostop per andare al Festival di Montreux – racconta Philipp –. Io non avevo idea che il tizio che mi aveva preso su fosse un musicista di Polo Hofer, ma abbiamo iniziato a parlare di musica e da lì è cominciata la nostra amicizia». E poi c’è Milano di Lucio Dalla, in una versione che non dispiacerebbe a Paolo Conte.
«Dai dieci ai vent’anni, io sono cresciuto in Ticino. Qui ho scoperto cantautori italiani favolosi come Battisti, Dalla o Zero». «In realtà volevo registrare L’anno che verrà, che per me è la canzone migliore di Dalla. Ma è molto difficile a cantarsi e così ho scelto il mio secondo brano preferito, Milano, che è un po’ più facile. Ero preoccupato per il mio italiano, visto che ormai sono da trent’anni lontano dal Ticino. Allora parlavo dialetto ma oggi l’accento “zuchino” lo senti! Ho mandato le prove di registrazione al mio vecchio maestro nel Locarnese e lui mi ha detto che l’italiano andava… abbastanza bene. Così ho preso coraggio, l’abbiamo registrata e messa sull’album. Spero che in Italia e in Ticino non mi odino per questo!».
Da noi Fankhauser torna spesso a suonare. Quest’estate il suo concerto a Vallemaggia Magic Blues è stato un successo e, ci racconta, «da trent’anni ho il sogno di suonare a Estival». Della sua giovinezza ticinese ha ricordi felici. «Ho avuto molti amici. Mi sono integrato molto bene, il mio nome è cambiato da Philipp a Pippo, ero un ticinese! E alla fine degli anni Settanta ci sono state anche Le Stelle (lo storico locale di Ascona, nda) dove mi facevano entrare perché sembravo molto maturo. È stato un periodo bellissimo. È in Ticino che a 12 anni ho deciso che sarei stato un cantante di blues».
Forse in pochi allora avrebbero scommesso che un ragazzo, oggi 55enne, originario di Trub, nell’Emmental profondo, sarebbe diventato il bluesman elvetico più conosciuto. «Per diversi anni – ci spiega – sono stato in America. Mi aveva invitato Johnny Copeland: “Come to The Real World”, mi diceva. Finché sono stato in tour con lui le cose sono andate benissimo. Quando però è morto nel 1997 tutto è cambiato. Ai bianchi non interessavo. I neri mi vedevano come qualcosa di esotico, il tipo che viene dal posto dove fanno il formaggio con i buchi e canta il blues. Così, le mie speranze di una carriera di bluesman in America non si sono realizzate. Ma ho imparato lo stesso moltissimo, su di me e sul blues. Alla fine sono riuscito a creare la mia personalità, senza l’illusione di essere nero, di essere americano. Tornato in Svizzera sapevo di essere Fankhauser da Trub nell’Emmental e facevo la mia cosa. È stata una lezione incredibile».
E già, la vita è proprio imprevedibile. E come dice la canzone che dà il titolo al nuovo album, allora lasciala scorrere. In fondo è l’unica cosa da fare.