Un’intera esposizione dedicata al tema: Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione, alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, una mostra pensata per rappresentare come le donne nell’arte siano state sempre un tema e troppo raramente considerate e annoverate, invece, come artefici, ovvero artiste.
Di certo è una delle prime considerazioni che sorge spontanea, entrando nelle sale di esposizione: le donne devono essere ancora proposte come oggetto di rappresentazione di opere maschili? Si tratta proprio del punto di partenza della mostra stessa allestita in modo da permettere a visitatrici e visitatori un percorso di consapevolezza rispetto ai cambiamenti radicali avvenuti nel ’900, proprio grazie alla presa di coscienza delle donne e alle battaglie che hanno condotto nel ventesimo secolo. Attraverso una parabola ascendente che si riflette anche nell’organizzazione spaziale dell’esposizione, dal primo al terzo piano, si percorre una traiettoria in cui risulta evidente come l’arte, e nel caso specifico la rappresentazione del corpo femminile, sia mutata così rapidamente dopo secoli di immobilismo, proprio tra la fine dell’800 e il ’900, cioè il periodo storico che ha visto la prima e la seconda ondata del femminismo.
La mostra inizia con una sezione dedicata alla rappresentazione del corpo nudo della donna, intesa come femme fatale e riprende la classica opposizione tra amore sacro e amore profano: ci troviamo così di fronte alla raffigurazione di donne angeliche e di altre, invece, come l’indimenticabile Sultana di Camillo Innocenti, la cui bellezza ammaliante rappresenta il potere magico, quindi diabolico, di stregare i malcapitati amanti. Il quadro rappresenta, attraverso l’utilizzo della tecnica divisionista di cui l’artista romano era considerato tra i migliori rappresentanti dell’epoca, una donna sdraiata su un fianco nella posa tipica dell’abbandono sensuale: i seni perfetti che si avvicinano delicatamente al materasso su cui è adagiata, la curva dei fianchi che si chiude nella finezza del punto vita e la perfezione del volto della donna, tutto attraverso una gioia di colori che imprimono il quadro nel nostro immaginario come vero ideale di bellezza.
Al secondo piano invece la sezione Sguardi dell’anima comprende anche il ritratto che Giacomo Balla fece a sua moglie, Il dubbio, scelto come immagine simbolo della mostra: qui la donna pur restando l’oggetto della rappresentazione dell’artista esprime in uno sguardo che oscilla tra la dolcezza, la rassegnazione e il mistero inconoscibile una potenza, appunto irriducibile alla volontà e alla comprensione del pittore. Sono vari in questa sezione della mostra i quadri indimenticabili, da Nel parco di Amedeo Bocchi fino al meraviglioso, raro, innovativo Gelato da passeggio di Ildebrando Urbani, in cui una donna con gli occhiali da sole gusta un ghiacciolo con espressione sardonica, impermeabile al giudizio del mondo sulla sua bruttezza di cui pure non pare inconsapevole.
La mostra si conclude con una serie di quadri che rispondono alla celebre considerazione di Simone de Beauvoir contenuta nell’opera simbolo Il secondo sesso: «Donna non si nasce, si diventa». Qui troviamo opere diverse, per stile e per epoca, come il dipinto Susanna di Casorati, che riesce a esprimere, nella raffigurazione di questa donna nuda in una stanza tutta l’ineluttabilità della condizione femminile e la forza paziente necessaria a vivere in un sistema in cui le imposizioni sul corpo delle donne, ma anche sul suo desiderio sono così potenti. A rappresentare questo potere l’uomo che le sta seduto dietro, vestito di tutto punto.
Colpisce l’assenza di una sola risata, di sorrisi, eccezion fatta per quello appena accennato della moglie di Balla nel quadro citato, del resto il riso è di per sé rivoluzionario e mal si addice, allora, alla condizione di un soggetto secondario, come lo erano le donne nei tempi in cui le opere esposte furono dipinte. E non solo. Interessante il passaggio nell’ultima sala dai quadri in cui le donne sono rappresentate, alle riviste femministe in cui, attraverso il testo scritto, prendono la parola per raccontare il mondo finalmente da un nuovo punto di vista.