L’artista tedesco Wolfgang Laib in un’mmagine del 2015 (Keystone)


Disegnare per capire il mondo

A colloquio con l’artista tedesco Wolfgang Laib
/ 20.11.2017
di Ada Cattaneo

Le sue opere hanno la capacità di raggiungere la pura essenza, dalla luce alla forma. Come riesce a raggiungere questi risultati?
Il potere non è il mio: non si tratta di un dipinto che io realizzo. Utilizzo i materiali nella loro purezza e ciò è molto più di qualsiasi cosa io possa creare da zero. Per esempio, nell’opera Pine Pollen ho ottenuto un colore incredibile anche per me. Sarebbe stato diverso se avessi fatto un dipinto, cercando di rappresentare quella stessa luce. Invece io ho semplicemente raccolto pollini, disponendoli poi nel modo che potete vedere nella mostra di Lugano. Non si tratta di un’opera che io ho realizzato. È qualcosa che va molto al di là di una mia creazione. Credo che sia questa la ragione per cui l’opera raggiunge questa radiosità.

La scelta dei materiali – riso, polline, cera, … – è un elemento caratteristico delle sue creazioni. Si tratta di materie che provengono direttamente dalla natura.
Sono materiali nella loro forma originale, intatti e non modificati. Questo ha a che fare con la vita stessa e con tutto quello riguarda l’esistenza. Non sono interessato a fare arte che si costruisca con forme e colori. Per me è più interessante occuparmi del significato stesso dell’esistenza. La mia scelta è perciò quella di usare materiali molto semplici e partecipare alla loro essenza. È un concetto estremamente semplice, ma allo tesso tempo molto complesso. Non uso una grande varietà di materie e non ho bisogno di passare a qualcosa di diverso ogni due settimane. Mi attraggono le cose essenziali e molto semplici. E anche molto serie.

Cosa intende per «serio»?
Intendo ciò che riguarda la vita. Tutto ciò che ci circonda. Penso sia molto serio, ne sono convinto.

L’arte egizia, l’arte romanica e quella bizantina sono fonte di ispirazione per lei. Cosa la affascina nelle produzioni di questi periodi?
Arte egizia, arte romanica e arte bizantina: mi piacciono tutte, in egual misura. Non sono affascinato invece dall’arte greca e dall’arte romana. Queste ultime hanno cominciato ad influenzare la produzione artistica europea solo in seguito al Rinascimento. Non sono soggetto a questo tipo di fascinazione. Credo che le produzioni di cui mi sta chiedendo siano molto più importanti e più universali nel loro valore. Nell’arte egizia, per esempio, c’è un’idea molto più universale su ciò che riguarda la nostra esistenza. Questo mi piace ed è lo stesso motivo per cui amo molto l’arte bizantina e quella alto-medievale.

Ho avuto modo di esporre la grande opera che adesso si trova a Lugano (Es gibt keinen Anfang und kein Ende, ndr) nella basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna. È stato per me meraviglioso esporre in una delle più importanti chiese bizantine del mondo.

Le sue opere richiedono moltissimo tempo per essere realizzate, ma sono anche estremamente fragili. Sembra che il tempo sia un elemento che dà loro forma e ne influenza la loro stessa natura.
Senza il tempo esse non esisterebbero. Tutto dipende dall’idea di tempo, di quello che un’opera è e da quello che la nostra società richiede all’individuo: come deve vivere, cosa deve produrre. I miei lavori riguardano anche questo, in modo assolutamente non politico. Credo comunque che in questo momento sia una grande sfida lavorare duro per raggiungere gli obiettivi posti dalla nostra società.

Lei non si è formato come ogni artista tradizionale; ha invece studiato medicina. Come l’ha influenzata questo percorso formativo alternativo?
Senza le esperienze fatte nell’ambito degli studi in medicina non avrei mai realizzato i miei lavori. Tutti mi chiedono «Come mai sei diventato artista, se avevi studiato medicina?». Ma io credo di non avere mai cambiato la mia professione. Realizzo nelle mie opere quello che avrei voluto fare come medico. Perciò credo sia stato per me essenziale studiare medicina, vedere gli ospedali, vedere persone morenti. Tutto ciò ha determinato la mia idea di diventare artista. Una sorta di proseguimento dei miei studi, ma in una maniera molto diversa.

Com’è stato lavorare nello spazio del nuovo museo di Lugano?
Non è uno spazio semplice, ma il direttore del museo (Marco Franciolli, ndr) si è impegnato moltissimo per rendere possibile un’esposizione molto buona. Ho potuto utilizzare gli spazi che desideravo, anche perché non avrei voluto lavorare ai piani superiori, dove i soffitti sono troppo bassi per le mie opere. C’è stato davvero un grande sforzo da parte del museo per fare sì che tutto funzionasse al meglio.

La mostra segue un percorso circolare e si conclude con l’opera Where the Land and Water End. È un’opera molto «lieve», quasi invisibile.
Recentemente sono stato in Myanmar. Durante questo viaggio sono stato a visitare una pagoda che mi ha affascinato moltissimo perché era nel punto in cui terra e acqua si incontrano. Era al di là di ogni cosa. Forse anche oltre la nostre vite. Oltre la terra e oltre l’acqua, nel punto in cui esse si incontrano. Mi è sembrato un buon titolo. L’ho utilizzato per la trasparenza che comunica e che ho cercato di rappresentare in quel disegno. È un titolo molto importante per me, che dice molto su come vedo la vita. E poi il disegno è in generale uno strumento che ritengo molto utile: mi aiuta a capire e ad interpretare il mondo.