La cantante Lana Del Rey

Del Rey, sensualmente matura

Lana Del Rey, la pin-up del pop-rock targato USA, torna alla carica con un disco più sperimentale del solito, ma dalla connotazione stilistica ancora inconfondibile
/ 14.08.2017
di Benedicta Froelich

Una delle testimonianze più convincenti del potere acquisito dai social network negli ultimi anni, riguarda sicuramente la loro progressiva efficacia nella promozione capillare di musicisti ed entertainers, ormai in grado di saltare a piè pari i canali di distribuzione tradizionali per autoprodursi in prima persona: nel 2011, proprio una mossa di questo genere ha catapultato una relativa sconosciuta in vetta alla classifiche pop-rock, facendo dell’americana Lana Del Rey un fenomeno mondiale grazie al lancio su YouTube delle hit Video Games e Blue Jeans. Favorita da un fisico da pin-up, che le consente di affiancare l’occasionale attività di modella a quella di cantante, la trentaduenne Lana è tutt’oggi considerata una delle proposte musicali più intriganti della scena statunitense, grazie anche alla curiosa dicotomia tra la sua immagine squisitamente estetica e quella artistica: se, nei propri patinatissimi videoclip, la Del Rey si presenta quasi come l’attualizzazione della quintessenza di quella sorridente e sexy fanciulla tipica dell’iconografia popolare del «sogno americano» anni ’50-’60, le sue canzoni presentano invece un carattere piuttosto nichilista, condito di atmosfere sensuali e glamour ma, allo stesso tempo, alquanto crepuscolari.

Oggi, questa nuova fatica dell’artista, dall’allusivo titolo di Lust for Life, appare una conferma di tale tendenza, anche se stavolta Lana sembra aver deciso di concentrare le proprie energie sulle collaborazioni con musicisti esterni, forse con l’obiettivo di conferire un carattere più multiforme alla propria musica. Ecco quindi che la title track Lust for Life costituisce un esperimento singolare, sebbene forse non del tutto riuscito: quello di un brano ibrido, a metà strada tra i toni suadenti e malinconici a cui la Del Rey ci ha abituati e l’easy listening carico di tonalità soul e R’n’B di Abel Tesfaye, meglio noto come «The Weeknd», con il quale la nostra eroina duetta lungo l’intero brano. Tuttavia, simili contaminazioni sembrano qui rappresentare poco più che esercizi di stile fini a loro stessi: così, gli inserti hip hop e i campionamenti vocali che caratterizzano i lenti Groupie Love e Summer Bummer, entrambi frutto della collaborazione con il rapper A$AP Rocky (e, nel caso di Summer Bummer, anche con Playboi Carti), appaiono come un’occasione perduta, finendo per suonare non soltanto come risaputi, ma perfino fuori luogo.

Va molto meglio con un mostro sacro come Stevie Nicks, con la quale Lana duetta in Beautiful People Beautiful Problems, e con l’elusivo Sean Lennon, figlio del grande John, qui alle prese con una sorta di omaggio pseudo-beatlesiano (Tomorrow Never Came); e anche se l’ascoltatore più attento non potrà evitare di avvertire una vaga nostalgia per la tensione creativa e narrativa che aveva caratterizzato Born to Die e, in altro modo, il più recente Ultraviolence (2014), un brano come la traccia d’apertura Love – non a caso prescelta come primo singolo estratto dal CD – riconduce direttamente alle atmosfere suggestive e mollemente sensuali del passato, qui mescolate ad anacronistiche speranze di una vita felice. Sulla stessa linea si può collocare anche l’autobiografico Coachella – Woodstock in My Mind, incentrato sulle sensazioni contrastanti provate durante il festival musicale del titolo, dove la visione dell’immenso e giovane pubblico presente porta a riflessioni agrodolci sulle attuali tensioni mondiali e l’oscuro futuro che incombe sulle masse festanti di quegli stessi ragazzi. Simili tracce ci portano a pensare che Lana si stia infine allontanando dallo squisito edonismo «al femminile» di classici del passato come Young and Beautiful e Brooklyn Baby per concentrarsi piuttosto su suggestioni più introspettive, come confermato, del resto, da un pezzo velatamente intimista quale 13 Beaches (quasi un possibile outtake di Ultraviolence), la cui efficacia è sminuita solo in parte dall’innegabile somiglianza ad altri sforzi di Lana.

Il che dimostra come, nonostante la venatura vagamente trip hop che questo Lust for Life sovrappone al suo sound abituale, la personalità della Del Rey rimanga abbastanza forte da garantire una continuità con i lavori precedenti – facendo di Lust for Life un album godibile e maturo, nel quale la voce e capacità interpretativa dell’artista si confermano come notevoli e molto mature per la sua giovane età. Certo, la strada per raggiungere le vette delle eroine di Lana – Billie Holiday e Nina Simone, tra le altre – è ancora lunga, e senz’altro destinata a passare attraverso una minore dipendenza da un sound innegabilmente un po’ artificioso e patinato, figlio di questo nostro tempo e condito di una certa, inevitabile fatuità, destinata a non sopravvivere molto oltre il momento presente; ma resta comunque un piacere assistere all’evoluzione artistica di una personalità che, per una volta tanto, non sembra affetta dall’ansia di conformarsi a ogni costo all’abituale, banale orientamento delle odierne classifiche pop.