**(*) Molly’s Game, di Aaaron Sorkin, con Jessica Chastain, Idris Elba, Kevin Costner, Michael Cera (USA 2017)
Il gioco cui si riferisce il titolo di Molly’s Game è quello di una campionessa nascente di freestyle sugli sci che, in seguito ad alcuni incidenti drammatici, decide di cambiare vita e di trasferirsi dal Colorado a Los Angeles. Si allontana così da un genitore alquanto caporalesco, rinunciando al contempo a iscriversi ad Harvard per organizzare invece un giro clandestino di giochi d’azzardo, destinato agli uomini d’affari e alle celebrità locali.
Questa serie di giochi in apparenza brillante, seppur costantemente sopra le righe, finirà per materializzarsi in una delle bische più note degli Stati Uniti. Frequentata, tra gli altri, dalle mafie di mezzo mondo, condurrà otto anni più tardi all’arresto di Molly da parte dell’FBI. La vicenda, autentica, tratta dall’autobiografa della pur simpatica, quanto spregiudicata protagonista, non poteva non sollecitare l’attenzione di Aaron Sorkin, sceneggiatore fra i più grandi del cinema contemporaneo, osservatore sempre attento alle derive che si nascondono dietro al sogno americano. E dunque attento anche alle tentazioni offerte dal mito americano per sfuggire a legalità e moralità, in favore di una rincorsa del denaro.
Nei suoi script, che denotano sempre un certo acume, grazie alla sagacia raffinata con la quale ha costruito la propria fama, Aaron Sorkin indaga proprio quei percorsi. Basti pensare a quello di Mark Zuckerberg del magnifico The Social Network di David Fincher, come a quello di Steve Jobs del film omonimo diretto da Danny Boyle. Ma questo succedeva già negli anni degli esordi, quando nel 1992 adattava la sua pièce teatrale in Codice d’onore; o nel 2007, con La guerra di Charlie Wilson di Mike Nichols, o ancora quattro anni dopo, nel mondo dello sport di Moneyball – L’arte di vincere per la regia di Bennett Miller.
Ora, cinquantasettenne, Sorkin è per la prima volta anche regista, e avvicina al suo uso magico e celebrato della parola quello che talvolta può risultare ancora più insidioso, ossia l’accostamento all’immagine. I risultati sono altalenanti: incalzante fino ad essere precipitosa, l’illustrazione della parte iniziale che vogliamo definire sportiva rassicura sulle ambizioni della pellicola. Anche perché suggerisce l’apparizione di colei che risulterà il vero motore dell’intera operazione, una difficilmente dimenticabile Jessica Chastain.
La rivedremo infatti in tre tempi diversi, ma a loro modo classici: al momento del suo arresto fino a quello del processo, quindi nel corso degli anni della sua discutibile quanto imperiosa ascesa fra i tavoli da gioco. E pure (dietro la prolungata, sontuosa esibizione di scollature e minigonne) la contraddittoria, ma quanto efficace esposizione dei vari aspetti del personaggio: che rifiuterà sempre di denunciare i nomi dei suoi celeberrimi frequentatori, assumendo così di persona le responsabilità di chi ancora osa affidarsi alle incerte ambiguità del sogno.
Tutto questo in un film troppo lungo e soverchiato dalla parola: ma sono rischi utili da correre, quando al regista sbiadito si preferisce lo sceneggiatore spericolato.