A partire dalla metà del secolo scorso la musica popolare ha smesso di essere chiusa in se stessa iniziando un processo di sviluppo e trasformazione. Chi voleva aver successo nella musica di intrattenimento e da ballo, all’estero e in patria, doveva infatti sprovincializzarsi dialogando con nuove realtà. Iniziava così un importante processo di apertura e contaminazione che ha coinvolto l’area europea e alpina confermando il prezioso patrimonio culturale collettivo costituito dalla musica popolare senza alterarne le radici territoriali ma collegandole ad altre regioni in vitali relazioni. Il fenomeno ha particolarmente interessato anche la nostra musica popolare diventando una piattaforma sperimentale per l’incontro fra la tradizione e il moderno.
Dal 1999 Altdorf ha colto quei segnali come decisivi per svecchiare l’immagine della città, decidendo di mettere in campo un’operazione di marketing artistico, ospitando nel cuore del mito elvetico di Guglielmo Tell una manifestazione che mette a fuoco aspetti di una molteplice trasformazione che raggiunge importanti livelli di popolarità e successo. Nasce così Alpentöne, festival che lo scorso fine settimana nella sua proposta biennale ha felicemente superato la sua decima edizione registrando un record di affluenza che ha messo pacificamente alle strette la città del delta della Reuss, permettendo alle centinaia di appassionati di seguire 50 concerti distribuiti su tre intense giornate (e circa mezzo milione di franchi come budget). Per rendere l’idea di una spesso sorprendente contaminazione musicale facciamo la carrellata su alcune proposte. A cominciare dall’ultimo progetto di Erika Stucky sul palco del Theater (uri) affiancata dal controtenore Andreas Scholl e accompagnata dall’orchestra barocca La Cetra di Basilea: un’appassionante visione musicale fra cinema, teatro e tradizione musicale in una sorta di «punk-barocco-revue» in cui si rincorrono pagine di Cole Porter, Billie Holiday, Randy Newman attraverso carezze settecentesche. Ma anche elfi, streghe e angeli evocati dall’originale incontro culturale di antiche cantate con le voci di Outi Pulkkinen (Finlandia), Nadja Räss (Svizzera) e Mariana Sadovska (Ucraina). Poi la scoperta del progetto sudtirolese del brillante polistrumentista Herbert Pixner (fisarmonica, tromba, flicorno e clarinetto) con il suo gruppo con arpa, chitarra rock dalle venature hendrixiane e contrabbasso. Oppure il Duo Bottasso, fisarmonica bitonale e violino per due vulcanici fratelli piemontesi di Cuneo. Ma anche il significativo concerto diretto da Heinz Holliger, il grande oboista e compositore svizzero. Fu lui che negli anni 90 ha davvero impresso la svolta verso una «neue Musik», imprimendo un’accelerazione al processo di trasformazione della musica popolare svizzera, offrendole un profilo più rigoroso e indicando la via verso l’innovazione della «Volksmusik», prima intoccabile. Suggestiva anche la presenza nella chiesa di San Martino del concerto del grande percussionista neocastellano Pier- re Favre, con il sax di Gianluigi Trovesi e il maestoso organo a canne suonato da Fabio Piazzalunga. Non possiamo dimenticare lo strepitoso concerto di fisarmoniche proposto del gruppo Samurai che ha riunito cinque eccellenze: dall’Italia Riccardo Tesi con Simone Bottasso, il basco Kepa Junkera, il finlandese Markku Lepistö e l’irlandese David Munnelly. Per loro c’è stata una standing ovation irrefrenabile.
Entusiasmo e attenzione (quasi religiosa) per il «tutto esaurito» del festival che da qualche anno fa riflettere i suoi organizzatori. In particolare il direttore artistico Johannes Rühl, artefice delle ultime cinque edizioni e testimone di una crescita che, sulla spinta di Alptransit, vorrebbe trovare soluzioni per rimettere in gioco la manifestazione. Guardando a sud, quasi per riscoprire Altdorf come testa di ponte dell’antica «Via delle Genti» in cui la capitale ticinese appare l’approdo ideale.
«L’idea nasce effettivamente da Alptransit», conferma Rühl. «Bellinzona e Altdorf avrebbero bisogno di una fermata alle loro stazioni. L’avevo già scritto in un articolo per “La Regione” in merito ai nostri rispettivi teatri. Entrambi hanno qualcosa di stupendo. Sebbene di dimensioni e epoche diverse, le facciate neoclassiche si assomigliano e… si guardano: è una metafora che ho utilizzato nell’articolo. Se ci fosse un treno diretto, in 30 minuti sei a Bellinzona. Sia chiaro, nessuno vuole portare Alpentöne a Bellinzona ma è indispensabile poter avere un partner puntando sulle differenze. Non si vuole creare un doppione, bensì sviluppare qualcosa in quella direzione con idee nuove. Non è facile. Le strutture sono differenti, occorre pensare a nuove sovvenzioni e impostare rapporti fra i Comuni… Ma ho l’impressione che anche a Bellinzona farebbe bene». Un balcone che guarda verso il sud o un festival negli stessi giorni con i gruppi che si alternano sulle due piazze? Chissà. Alcuni segnali sono arrivati alla serata inaugurale che ha ospitato Marco Solari. Il presidente di Locarno Festival, di madre bernese e padre luganese, incarna il felice rapporto fra nord e sud: un dialogo che deve mantenere la sua diversità a salvaguardia del patrimonio culturale che ci accomuna. E fra gli invitati c’erano anche il sindaco di Bellinzona Branda e il direttore artistico del Teatro Sociale Helbling: nuova musica per il futuro?