**** La forma dell’acqua – The Shape of Water, di Guillermo Del Toro, con Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones (USA 2017)
Undici anni dopo Il labirinto del fauno Guillermo del Toro firma il suo secondo capolavoro. Confermandosi così fra i pochi cineasti capaci di muoversi in assoluta libertà fra la realtà e l’immaginario, le urgenze del nostro tempo e il surrealismo; e ricordandoci nel contempo quanto valga a Hollywood la presenza dell’invidiabile zoccolo duro messicano (v. Alejandro Gonzales Inarritu e Alfonso Cuaron). La forma dell’acqua non è ciò che appare a prima vista, cioè un altro dei più o meno divertiti film d’horror del suo autore. Con una strana creatura acquatica, proveniente dall’Amazzonia, conservata in una vasca, nel segreto minaccioso di un laboratorio militare. Lì però lavora Elisa (la bravissima Sally Hawkins), donna delle pulizie muta, capace di riservarci infinite sorprese.
Siamo di nuovo immersi nella storia, questa volta nel 1962 della paranoica Guerra Fredda. E se il guardiano feroce (Michael Shannon) della creatura marina ricorda certe crudeltà ancora in uso e l’evasione dei due prigionieri sembri a priori impensabile, l’arte cinematografica rende tutto ipotizzabile.
La favola prende allora il sopravvento sulla realtà, il sogno si sostituisce all’iconografia sempre più immiserita di quell’America impegolata nel Viet-nam (o è Trump?). Mentre la splendida partitura musicale di Alexandre Desplat accompagna l’horror apparente verso alcuni modelli d’ispirazione come La bella e la bestia di Cocteau o Il mostro della laguna nera di Jack Arnold, il film si fa romantico, surrealista; capace d’inventarsi su due gocce di pioggia che rigano il parabrezza, diventa addirittura sensuale, erotico. Miracolosamente, riesce a fondere l’armonioso delirio del musical al thriller di spionaggio, la love story sentimentale a uno sguardo su tutti i diversi che abitano il film, compiendo una mutazione nel meraviglioso.
**** Il filo nascosto (Phantom Thread), di Paul Thomas Anderson, con Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps, Lesley Manville, Sue Clark (USA 2017)
Un film segreto, mutevole, talora indecifrabile, uno dei temi affrontati essendo quello di un rapporto di forze. Fra tre personaggi, tre attori: uno straordinario Daniel Day-Lewis, prepotente e al tempo stesso vulnerabile, la dolce, rivelazione lussenburghese Vicky Krieps; e Lesley Manville, la vera padrona della Maison. Tre indimenticabili presenze, che si costruiranno (o, se preferite, distruggeranno) sulla loro diversità e i diversi modi di risolverla.
La faccenda è elementare: il celebre stilista degli anni 50 londinesi, Reynolds Woodcock veste la famiglia reale, l’alta società e le star del cinema. Scapolo impenitente, incontra Alma, l’apparentemente innocua cameriera di una piccola pensione e finirà per sposarla. Ma il filo nascosto cui si riferisce il titolo non è soltanto il messaggio su carta che il sarto si premura di cucire all’interno di ogni sua creazione. E nemmeno quello incessantemente percorso, fra gli aghi e le dita, dalle impeccabili operaie sui capolavori d’altissima moda. Si tratta infatti di un film che conduce verso le zone destabilizzanti, di hitchcockiane memoria, come, ad esempio, Rebecca, la prima moglie.
Quest’arte della contraddizione, l’evasione continua dalla banalità della solitudine dell’artista, la fuga dal classicismo romantico della rappresentazione verso le praterie del narcisismo e della dipendenza, non avvengono a caso. Ma soltanto grazie al magistrale equilibrio di una scrittura che è la rappresentazione della dismisura.