Uno e trino. Se non pochi sono ormai gli strumentisti che si dedicano con successo al podio (bastino gli esempi dei pianisti Levine e Barenboim) Jörg Widmann è un caso quasi unico: è un virtuoso del clarinetto, interprete di riferimento dei più grandi capolavori dedicati allo strumento da Mozart, Weber, Brahms; è un direttore d’orchestra che calca podi prestigiosi; è uno dei compositori più quotati e ricercati di oggi: gli hanno commissionato brani per orchestre mitiche come la Gewandhaus di Lipsia o la Boston Symphony, esattamente due anni fa (17 gennaio 2017) il suo «Arché» ha tenuto a battesimo la nuova e bellissima Elbphilharmonie di Amburgo.
Il 45enne musicista bavarese ha presentato lo scorso anno a LuganoMusica due delle sue tre personalità artistiche, il compositore e il clarinettista, suonando con l’Hagen Quartet il Quintetto di Mozart e il suo; mentre la sorella Carolyn ne ha suonato il Concerto per violino accompagnata da Daniel Harding e l’Orchestre de Paris.
In una sola serata, la seconda del ciclo «Osi in Auditorio», Widmann le concentra tutte e tre: giovedì prossimo dirigerà l’Orchestra della Svizzera Italiana nella prima sinfonia di Mendelssohn, nel Concerto per clarinetto in fa minore di Weber dove sarà anche solista, e in due sue composizioni: l’ouverture Con Brio e il sestetto per archi 180 beats per minute. Un uomo totalmente conquistato dalla musica: «Io e mia sorella Carolyn eravamo ancora piccoli, avevamo forse 4 o 5 anni; i genitori ci portarono a vedere il Pipistrello di Johann Strauss e ne rimanemmo folgorati; lì la musica divenne un elemento magico e irrinunciabile nelle nostre vite.
Iniziammo ad andare spesso a teatro; ci stregò il Flauto magico di Mozart; per settimane lo allestimmo anche nel nostro soggiorno: i pupazzi erano Pamino, Tamina, Sarastro, la Regina della Notte, noi cantavamo – in qualche modo credo… – tutte le parti; ci divertivamo come pazzi». Quanto al clarinetto «non so perché lo scelsi, i miei genitori mi raccontano che un giorno tornai a casa e dissi loro che volevo imparare a suonarlo; però sono perfettamente consapevole del perché oggi mi piace così tanto: è uno strumento magico, crea un suono che sembra nascere dal nulla e sembra tornare nel nulla; il pubblico vede fisicamente il clarinettista sul palco, lo vede muovere le dita e soffiare nello strumento, ma è come se non fosse lì la sorgente del suono; la voce del clarinetto proviene da un punto non definibile e fugge in un altro punto inspiegabile».
Una magia che per Widmann è la spinta a comporre per il suo strumento: «Penso che abbia delle possibilità ancora inesplorate; infatti quando i compositori che mi vogliono dedicare un’opera mi chiedono se sia possibile o no eseguire certi passaggi, rispondo sempre: prima scrivili, poi vediamo se in qualche modo si riesce». Lo ha fatto con l’elvetico Holliger, con Rihm o Reimann.
«Penso che cercare o superare il limite sia un motore essenziale nella storia della musica; il concerto per violino di Ciajkovskij era considerato ineseguibile, e come questo tanti altri; mi piace immaginare Mozart che ascolta un soprano mentre fa i vocalizzi e pensa: vediamo fin dove può arrivare…e nasce così la celebre aria della Regina della notte; ma anche il duetto tra Papageno e Papagena, un’onomatopea incredibile, fu qualcosa di nuovo e inaudito nella storia dell’opera. Io spesso improvviso per vedere che cosa si riesce a fare, comporre non è altro che fissare e sistemare questi tentativi».