*** Bacalaureat – Un padre, una figlia, di Cristian Mungiu, con Adrien Titieni, Maria Dragus, Lia Bugnar, Malina Malovici (Romania 2016)
Un padre, una figlia, la fine delle illusioni. Medico in una cittadina della Transilvania, Romeo ha fatto di tutto perché sua figlia Elisa fosse ammessa in un’università inglese. Da quanto traspare dal grigiore circostante si può anche capirlo: l’ambiente non è dei più stimolanti. Alla ragazza non manca che ottenere a giorni il diploma liceale. Una formalità, in pratica. Sennonché, due avvenimenti improvvisi turbano la serenità dei due. Durante il pranzo, un sasso scagliato da qualcuno che rimarrà sconosciuto, infrange fragorosamente il vetro di una finestra. Peggio ancora, più tardi, mentre la ragazza si avvia a scuola, eccola subire altrettanto misteriosamente un’aggressione, apparentemente a sfondo sessuale.
L’imponderabile, due fatti inspiegabili. Anche se solida, Eliza appare comunque destabilizzata: la certezza di ottenere la media del 18, limite indispensabile per l’ottenimento della borsa di studio, arrischia di allontanarsi. Le conseguenze maggiori sembrano però addensarsi sull’irreprensibile genitore. Il quale, nella possibilità di risparmiare alla figliola la stasi corrotta della Romania contemporanea, nell’ansia di offrirle un’esistenza diversa dalla sua, aveva riposto ogni ragione d’essere.
Sarà però in ambiguità molto simili a quelle di una società che ancora non ha assorbito l’eredità dei 40 anni con Ceausescu che il protagonista, fondamentalmente onesto, verrà coinvolto. Accomodamenti dapprima veniali, suggeriti da personaggi mediocri più che perversi. Come truccare leggermente gli esami di Eliza per prevenire ogni minima eventualità negativa. Oppure, all’ospedale, facilitare la precedenza degli esami del vice sindaco, rimescolando il plico dei formulari delle visite in attesa.
Autore già nel 2007 di uno straordinario ritratto del proprio paese nel capolavoro che gli valse reputazione e Palma d’Oro a Cannes (4 mesi 3 settimane 2 giorni), Cristian Mungiu si conferma una volta ancora maestro nella costruzione di micidiali meccaniche morali. Senza mai forzare la mano (sulle situazioni, sull’approccio magnifico degli attori), privilegiando nella forma i piani-sequenza, acquisendo alla perfezione gli ambienti e con essi le psicologie, il regista lascia affondare i destini dei suoi personaggi in una progressiva rassegnazione morale, un’osservazione lucida del lento dilagare della menzogna. Nell’apparente tranquillità di una visione che dilata all’infinito nella nostra memoria certi principi irrinunciabili.