Quando, nel 2015, lo scrittore inglese Matt Haig pubblicò Reasons To Stay Alive – coraggioso volumetto a cavallo tra autobiografia e «self-help manual», che raccontava con brutale onestà della sua lotta impari contro una depressione quasi fatale – non poteva certo immaginare come, in breve tempo, il suo memoriale sarebbe divenuto un bestseller nazionale; un risultato ottenuto principalmente grazie alla capacità dell’autore di andare oltre la semplice cronaca della propria esperienza personale, trasformando il racconto in un atto di incoraggiamento rivolto a tutti coloro si trovino a lottare contro il subdolo «black dog» (nome con cui da sempre gli anglosassoni definiscono ciò che per noi italofoni è piuttosto «il male oscuro», secondo l’indimenticata definizione dello scrittore Giuseppe Berto).
Oggi, il bestseller di allora è divenuto un progetto discografico, nato dall’incontro di Haig con il cantautore Andy Burrows – nome perlopiù sconosciuto al grande pubblico, eppure rappresentativo dell’archetipo dell’onesto e professionale musicista indie anglosassone. Incontratisi sul social network Twitter, i due hanno subito intrapreso un progetto a quattro mani, che li ha visti «musicare» il libro di Haig sulla base di liriche fornite dall’autore stesso; e per quanto rischiosa l’idea possa apparire, la commistione funziona, tanto che il risultato si fa apprezzare non soltanto per le (pur lodevoli) intenzioni degli autori, ma anche e soprattutto per la qualità intrinseca del lavoro.
Così, se, da un lato, Reasons To Stay Alive potrebbe definirsi una sorta di «adattamento musicale» dell’omonimo libro, allo stesso tempo costituisce ben più di una semplice trasposizione in salsa pop-rock del testo di partenza. Sebbene la title track rappresenti la perfetta sintesi del messaggio che Haig ha tentato di trasmettere ai suoi più o meno disperati lettori («…dopo l’incubo viene il giorno / tornerai a sentirti vivo»), la grande semplicità e pulizia degli arrangiamenti concepiti da Burrows fanno sì che l’album sfugga al rischio di scadere nell’enfasi o in qualsiasi forma di retorica, pur riuscendo comunque a conservare lo spirito del testo originale. Un esempio ne è la ballata Hero, in cui viene introdotto l’immancabile personaggio femminile destinato a risollevare il protagonista dalla sua sofferenza – privilegio che, nella realtà, ben poche persone affette da depressione possono vantare, considerando l’isolamento sociale con cui ogni malato si trova a doversi confrontare. Eppure, questo senso di possibile salvezza – inteso come l’opportunità di cogliere e «scroccare» una qualche sorta di felicità al proprio destino – si ritrova anche in brani solari come Barcelona (in cui il cliché della città spagnola tanto amata dai cantanti pop-rock diviene non solo luogo dell’anima, ma anche di fuga dal proprio dolore) e la curiosamente spensierata Lucky Song.
Tuttavia, le tracce più efficaci e suggestive del CD restano quelle in cui l’ottimismo lascia il posto alla riflessione e all’introspezione più istintive: come nelle toccanti How to Stop Time e, soprattutto, Handle With Care, empatica descrizione delle opprimenti percezioni quotidiane di un depresso. Ma, più di ogni altra, è la traccia finale – la surreale Lost in Space – a cogliere davvero nel segno, paragonando la condizione di una persona affetta da depressione a quella di un alieno che, lontano anni luce dal suo pianeta natale, si ritrovi solo ad affrontare un mondo ostile e indecifrabile.
Certo, è difficile negare come vi sia una certa componente didattica nel sottotesto di quest’album, evidenziata dall’insistenza di Haig nel sottolineare come la salvezza sia possibile e come ci siano, appunto, «così tante ragioni per rimanere in vita»; eppure, i brani più riusciti rivelano come l’etereo senso di speranza che pervade l’intero lavoro sia, in realtà, solo apparentemente ingenuo – e finisca per trascinare l’ascoltatore in un viaggio non solo sonoro, ma anche di vera e propria esplorazione del sé.