Conoscenza e passione

A colloquio con i collezionisti Danna e Giancarlo Olgiati, che hanno dedicato una vita intera alla loro passione più grande, l’arte
/ 25.11.2019
di Ada Cattaneo

Giancarlo e Danna Olgiati hanno costituito, nel corso di una vita dedicata all’arte, un’importante collezione che va dalle avanguardie storiche agli anni Duemila. Una selezione della raccolta è stata offerta in usufrutto alla Città di Lugano nel 2012 e oggi è possibile visitarla gratuitamente all’interno del circuito museale del MASI nelle sale «underground» della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, proprio accanto al LAC. In quest’intervista viene ripercorsa la vicenda collezionistica dei due protagonisti, che ha permesso di radunare oltre duecento opere di rilevanza internazionale, che coniugano, in modo del tutto unico in Svizzera, arte italiana ed internazionale.

Come ha avuto inizio la Collezione Olgiati?
Giancarlo Olgiati: Quando si inizia una collezione, non si sa dove si andrà a parare. Un orientamento si acquisisce con il tempo e con gli incontri. Per me è stato fondamentale l’incontro con Danna, anche se avevo già capito in precedenza che dovevo guardare al passato per legittimare le mie acquisizioni di opere della contemporaneità. Ho cominciato con i Nouveaux Réalistes, incontrando Klein e Arman per caso a Düsseldorf nel 1962 presso la Galleria Schmeila. Discutendo con Arman delle sue «allures d’objets» capii che l’influenza dei Futuristi e di Balla era per lui fondante. Futurismo, Dadaismo e Avanguardie Russe erano un passaggio necessario per capire come si evolvevano le opere dei Nouveaux Réalistes. Galeotte furono le opere di Balla acquisite alla Galleria Fonte d’Abisso, dove ho incontrato Danna. Qui è nata la collaborazione, poi divenuta una vita insieme, che ha fatto diventare la collezione ancora più coerente al progetto originario e proiettata verso il futuro grazie ad un vero fil rouge.

Quali sono i nuclei principali della vostra collezione?
GO: Il progetto ha dettato come elemento fondante della collezione il rapporto fra l’avanguardia storica e l’avanguardia contemporanea. Quindi la collezione inizia da due grandi nuclei: Futuristi e Nouveaux Réalistes. A tutto questo si ricollegano le opere più recenti, dagli anni Sessanta in poi. Fra queste c’è anche una sezione di Arte Povera.

Danna, come ha influito la tua esperienza di storica dell’arte e di gallerista?
Danna Olgiati: La mia attività in seno alla collezione è esattamente l’altra faccia della medaglia rispetto all’attività di gallerista. Sono due mondi separati, ma il modo di agire è lo stesso. Ho sempre operato salvaguardando la qualità e dando importanza ai contenuti. Con la collezione ci siamo mossi nello stesso modo. È evidente che come collezionista c’è una maggiore libertà di azione: mentre un gallerista si attiene alle tematiche che ha coltivato negli anni, come collezionista si possono esplorare mondi diversi. Ma l’approccio è il medesimo: la qualità innanzitutto.

La vostra collezione racconta del forte legame fra nord e sud. Come avete realizzato questa tessitura fra culture?
DO: Giancarlo è svizzero di lingua italiana, con una cultura europea. Io sono italiana diventata svizzera. Le avanguardie che abbiamo guardato con maggiore interesse sono quelle a sud delle Alpi, riconnesse poi al resto del mondo. Quindi abbiamo sempre mantenuto lo sguardo su quello che faceva parte della nostra tradizione.

GO: In fondo si è trattato di confrontare l’arte italiana con il resto del mondo occidentale. Non abbiamo mai approfondito invece l’arte orientale. I limiti sono quindi stati la nostra forza perché, all’interno di essi, abbiamo cercato la grande qualità. Naturalmente non ci siamo limitati all’arte italiana. Ma erano gli stessi artisti di altre nazionalità a esprimere quanto fossero debitori delle avanguardie italiane.

Come avete sviluppato il vostro continuo rapporto con gli artisti?
DO: Lo scambio con gli artisti è sempre un privilegio. È particolarmente interessante quando si crea un dialogo che vada oltre la discussione sulla singola opera, per entrare nel mondo dell’artista. L’opera che vogliamo acquisire non viene discussa quasi mai con l’artista, perché può essere un freno alla nascita di un rapporto più profondo.

GO: Frequentando gli artisti, abbiamo imparato che ogni creativo è convinto che l’ultima sua opera sia la migliore, ma spesso non è così. Quindi bisogna conoscere questo mondo per orientarsi. Poi c’è un altro aspetto importante: ci sono state delle gallerie determinanti per la costituzione di alcuni nuclei della nostra raccolta. Vale, per esempio, per le gallerie Fonte d’Abisso e Sprovieri per i Futuristi, per la Galleria Pierre Nahon per i Nouveaux Réalistes, per la Galleria Tega per gli anni sessanta italiani o per la Galleria Christian Stein di Torino e Milano riguardo al nucleo dell’Arte Povera e per la Paula Cooper Gallery di New York riguardo al Neo Astrattismo e al Neo Pop. Quindi l’alleanza con la galleria diventa un fattore determinante per individuare opere di qualità.

Che cosa è alla base della vostra attività collezionistica?
DO: Noi siamo collezionisti all’antica, classici. Questo significa avere un progetto, che matura nel tempo. L’opera si acquisisce perché ce n’è sempre un’altra che la precede: l’opera che arriva oggi è motivata da qualcosa che era già in collezione. La nostra linea del gusto, che appare evidente a chi visita i vari allestimenti della collezione, è esattamente il progetto che abbiamo impostato insieme, seguendo le nostre passioni, evolutesi nel tempo in certe particolari direzioni. Ci sono quindi degli elementi che riaffiorano: l’arte concettuale, la materia, l’arte come condizione, espressa anche attraverso la sofferenza vissuta dall’autore. La vera storia della nostra collezione è il percorso che abbiamo fatto insieme.

GO: E di regola, al momento di scegliere, Danna ed io ci guardiamo negli occhi e capiamo che l’opera è quella giusta.

Come vi ponete nei confronti del collezionismo d’arte legato al mercato finanziario?
GO: L’influenza del mercato finanziario sull’arte è un male perché spesso la sottrae alla sola vera cifra possibile, ovvero quella della storiografia e dei valori fondamentali dell’evoluzione dell’arte. E poi, abbiamo potuto constatare che certe spinte modaiole si dissolvono troppo presto da sole.

DO: A volte, quando abbiamo modo di visitare un artista nel suo studio, siamo noi a cercare di capire se si tratta di un artista troppo legato al mondo del mercato dell’arte oppure se sta vivendo il suo mondo con interezza e se l’arte rappresenta per lui una necessità.

Marisa Merz, il cui lavoro è ora in mostra presso la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, non si è certo lasciata fuorviare dal mercato. Perché avete scelto di dedicarle un’esposizione?
DO: Prima di tutto dobbiamo amare il lavoro di un artista per dedicargli una mostra. L’opera di Marisa Merz è difficile da afferrare, è ancora oggi calata nel mistero della sua persona e di quel suo modo di rappresentare l’opera secondo simbologie e tecniche così diverse fra loro. Quando l’abbiamo scelta, lei era ancora in vita e abbiamo lavorato direttamente con lei e con sua figlia Beatrice, che ha curato la mostra. Possiamo dire che, in questo caso, alla base della nostra scelta c’era il desiderio di conoscerla meglio.

GO: Siamo molto orgogliosi anche perché lei ha voluto, qui da noi a Lugano, dimostrare quanto la sua personalità sia in parte autonoma rispetto all’Arte Povera. Sembra infatti emergere la volontà, quasi testamentaria, di dire che l’interesse per il volto umano, nelle sue diversissime sfaccettature, è stato il cardine della sua ricerca.

Tutto quello che raccontate fa capire che la scelta di affidare la vostra collezione alla Città di Lugano è molto significativa per voi. Qual è il senso di questo gesto?
GO: Oggi noi abbiamo rapporti di grande stima da parte dei maggiori collezionisti svizzeri per il lavoro fatto sull’arte italiana verso Nord, facendo l’esatto opposto rispetto a quello che si è fatto altrove in Svizzera. La nostra collezione si incastona perfettamente fra le altre grandi collezioni elvetiche. È quindi un’opportunità per il Ticino di avere un rapporto privilegiato con il resto della Svizzera. Inoltre, riteniamo di fondamentale importanza aver scelto di non fare un semplice prestito alla Città di Lugano, ma una «dazione di usufrutto». Questo significa che già ora la Città Lugano e il MASI hanno capacità di disporre delle opere, in modo da poter collaborare con noi sia per mostre di artisti della Collezione che per quelle delle nuove acquisizioni.Per cui, sin da oggi Comune e MASI dovranno sapere interpretare le nostre volontà, rimanendo legati al progetto che noi abbiamo concepito nel dettaglio, trapiantando in Ticino il modello «Schaulager» già funzionante con successo a Basilea Campagna.

DO: La collezione è un concetto molto personale, fino in fondo è la collezione di noi due, con tutte le storie ad essa connesse, al punto che le nostre vite si possono raccontare attraverso le opere che abbiamo selezionato. Sarà quindi una grande responsabilità per chi se ne occuperà. Per noi la preoccupazione principale è che la collezione venga capita: non parlo solo del suo valore economico, ma soprattutto del valore simbolico. In un paese di lingua italiana a sud delle Alpi, nel cantone che ha più contatti con l’Italia e con il sud dell’Europa, la nostra collezione potrebbe compiere un grande servizio favorendo la mediazione e diventando un tramite fra due culture. Noi abbiamo qui quello che non c’è in altri cantoni. Perché questo abbia senso, bisogna che chi amministrerà questo patrimonio, se ne renda conto fino in fondo. Questa è la nostra preoccupazione per il futuro.