Dove e quando
Christian Boltanski. Anime. Di luogo in luogo. MAMbo, Museo d’arte moderna. Bologna. A cura di Danilo Eccher. Fino al 12 novembre. Orari: 10.00-18.00, gio. ve. sa. 10.00-19.00 Chiuso lunedì. Catalogo Silvana editoriale. Instant Book euro 5.
A proposito di Ustica. Museo della memoria di Ustica. Via Saliceto 3/22. Ma-ve: 18.00-21.00. Sa-do 10.00-12.00, 18.00-21.00.
Réserve. Ex Polveriera bunker Giardini Lunetta Gamberini, Via Pellizza da Volpedo. Orari: gio, ve, sa, 18.00-22.00. Dal 22 settembre ve, sa, do 14.00-18.00.
Billboards. Vari luoghi. Giugno-agosto Take Me (I’m Yours), ex parcheggio Giuriolo, settembre. www.anime-boltanski.it
www.mambo-bologna.org


Con gli occhi e col cuore

Christian Boltanski celebrato a Bologna
/ 17.07.2017
di Gianluigi Bellei

Christian Boltanski è un artista complesso, sofferto, intimista. Certo le sue origini – il padre ebreo ucraino, la madre cattolica còrsa – non sono fattori ininfluenti. I rimandi e i richiami alla Shoah sono alla base del suo lavoro. Per lui la Shoah non è stata solo la morte di milioni di ebrei ma il riflesso della morte di ogni uomo. Soprattutto di quelli sconosciuti, senza nome. Le sue esposizioni sono sempre degli eventi di grande impatto anche emotivo. Lavora per progetti e spesso in forma monumentale. Non a caso è stato chiamato nel 2005 al Grand Palais di Parigi nell’annuale esposizione chiamata, appunto, Monumenta. Nello stesso anno l’abbiamo trovato all’Hangar Bicocca di Milano, che proprio con il Grand Palais aveva una collaborazione ai tempi della direzione di Chiara Bertola (vedi «Azione», 12 luglio 2010). A Milano ha presentato Personnes, in una versione ridotta di quella di Parigi. Ridotta per modo di dire perché c’erano ben 30 tonnellate di vestiti, appartenuti a cinquecentomila persone, spostati con una gru in un incessante lavorio di morte e tragicità. Nel 2005 al Pac sempre a Milano è diventato più intimista, anche considerata la ristrettezza del luogo. In quell’occasione oltre a diversi lavori degli ultimi anni ha presentato migliaia di elenchi del telefono di tutto il mondo. 

In questi mesi Boltanski è al Mambo di Bologna in una piccola antologica curata da Danilo Eccher. Sono presenti 25 opere degli ultimi trent’anni e altre sparse in diversi luoghi della città. Al Giardino Lunetta Gamberini, nelle strade della periferia e al Museo della memoria di Ustica dove troviamo una sua installazione permanente. A settembre è previsto Take Me (I’m Yours), un intervento nel parcheggio Giuriolo durante il quale saranno donate e scambiate opere di vari artisti. Un progetto di largo respiro che prevede una preparazione preventiva prima della visita dato che gli orari delle varie sedi non coincidono e soprattutto al Mambo non sono previste indicazioni su come arrivare nei singoli posti, che sono decentrati. In fondo all’articolo ne forniamo alcune di massima, dato che in questo caso una dettagliata programmazione è d’obbligo. 

Ma andiamo per ordine. Bologna ha una lunga tradizione di incontri con Boltanski. Vent’anni fa, all’inizio della sua carriera, gli ha dedicato una mostra a Villa delle Rose, sempre curata da Danilo Eccher; dieci anni fa è stato chiamato per collaborare con il futuro Museo per la Memoria di Ustica. Inserito in un deposito dell’azienda dei trasporti, il museo ospita i resti del DC9 Itavia partito da Bologna il 27 giugno 1980. L’aereo è esploso nei pressi di Ustica. Tutti i passeggeri sono morti. Boltanski posiziona attorno al relitto 81 specchi neri, questo il numero dei morti, dentro i quali lo spettatore può riflettersi mentre ascolta dal profondo le voci degli scomparsi. Appese al soffitto, 81 luci si accendono e si spengono come a seguire il loro battito cardiaco. L’esposizione al Mambo si apre proprio con Coeur del 2005 composta similarmente con specchi neri, una lampadina e il battito del cuore dell’artista. Poi in un crescendo di emozioni e tristezze diversi lavori come ad esempio Le grand mur de Suisses morts del 1990: «Se, ad esempio» dice l’artista «voglio parlare della Shoah non mostro foto storiche ma le immagini di svizzeri deceduti di recente, creando quindi una distanza con il dramma». Splendide le Véroniques del 1996: fotografie con un morbido tessuto trasparente sovrapposto. Immagini fluttuanti fra presenza e assenza. Struggenti le foto di Autel Lycée Chases del 1987 che ritraggono giovani adolescenti ebrei di Vienna tratte da un album scolastico del 1931. 

Al piano superiore Les Regards, opera esposta a suo tempo a Villa delle Rose e oggi nella collezione permanente del museo. Dieci fotografie di dieci partigiani tratte dal Sacrario della Resistenza di Piazza Nettuno nel cuore della città, dove i bolognesi avevano messo spontaneamente i ritratti dei parenti fucilati dai nazifascisti. Il progetto Billboards parte proprio da qui. Gli occhi delle immagini dei partigiani sono ingranditi e riprodotti in trenta fotografie poste nella periferia bolognese come dei cartelloni pubblicitari. Dal centro alla periferia e viceversa questi sguardi ricordano il nostro passato e danno dignità alla loro morte. Per trovarli possiamo per esempio andare in via Arcoveggio, in via Due Madonne, in via Marco Emilio Lepido, in via Stalingrado, in viale Togliatti…

Alla fine del percorso museale troviamo Animitas (blanc), un video di 11 ore con il sonoro di campanellini e davanti una distesa di fiori secchi. Realizzato nel deserto di Atacama in Cile dove si dice che Pinochet lasciasse cadere dagli aerei le salme delle sue vittime. Anime erranti, perse, delle quali molti hanno dimenticato i nomi. 

Al centro dello spazio espositivo Volver, realizzata espressamente per la mostra; una struttura alta sette metri composta da coperte isotermiche, come quelle che si danno ai migranti per i primi soccorsi in mare. Ai disperati è dedicata poi l’installazione Réserve alla ex Polveriera bunker Giardino Lunetta Gamberini dove sono messi a terra 500 chili di abiti usati. Questi vestiti in genere vengono associati all’Olocausto e agli ebrei spogliati prima di entrare nelle camere a gas, mentre in questo caso, dato che il giardino era un luogo di riparo per extracomunitari e migranti, richiamano le vite perdute di uomini senza volto. «Il vestito usato ci parla di qualcuno che era lì ma non c’è più» spiega Boltanski. «L’odore, le pieghe, sono rimasti, ma non la persona». 

Il curatore della mostra Danilo Eccher – storico direttore dal 1995 al 2000 della vecchia Galleria d’arte moderna di Bologna, situata in zona Fiera – scrive: «In Boltanski certo emergono i racconti e le simbologie del popolo d’Israele, a cominciare dalle opere ispirate alla Shoah, ma forse si possono anche cogliere certe durezze ironiche delle genti còrse, la barbara spiritualità slava o l’eleganza francese della liturgia cattolica. All’interno di questo intreccio culturale è difficile inseguire un pensiero unico». Anche questo ci piace assieme alla sua drammatica visione della vita e a quei lunghi sospiri, fra singulti, lamenti e silenzi che vanno oltre le comuni atarassie di un mondo oramai senza più vergogna.